Elementi Gotici nella Letteratura del Settecento e dell'Ottocento (1): i Cimiteriali Inglesi, Alessandro Verri, Ugo Foscolo
Tratto da
(Articolo che ho conservato, da anni, ritagliandolo da una rivista, mi pare "Horror")
Integrazioni e note a cura di Lunaria
La letteratura fantastica è trasgressiva per eccellenza. Trasgressiva delle leggi della realtà, del quotidiano, della normalità. Per definire "fantastico" un qualunque testo occorre che questo presenti in misura percepibile un'anomalia, una violazione oppure una deroga nei confronti di quelle leggi naturali che per consuetudine, buonsenso e dimostrazioni scientifiche si danno ferree. Se però il tutto si limitasse alle rappresentazioni di avvenimenti e figure irreali, il Fantastico non risulterebbero altro che un divertissement innocuo, per quanto bizzarro.
La pericolosità del Fantastico risiede nella sua formidabile predisposizione ad essere uno specchio, un contenitore, una maschera, una zona franca all'interno della quale è facile stabilire un confronto critico (seppur mediato) con le prescrizioni morali, giuridiche, politiche, religiose.
Se "Fantastico" è sinonimo di trasgressione, nel panorama storico italiano possiamo parlare di una trasgressione doppia: non solo come eccezione verso le leggi della fisica e del senso comune, ma piuttosto come ribellione più o meno consapevole ai saldi canoni della cultura ufficiale, intrisa di un radicato classicismo e di una sobria razionalità.
Intorno al 1740 in Europa, inizialmente in ambito anglosassone, hanno luogo quelle che vengono definite esperienze preromantiche; nasce e si diffonde l'interesse per la notte come rovescio della convenzionalità diurna, per i sepolcri, per gli incubi e per tutto ciò che è macabro e malinconico. Ne sono la dimostrazione componimenti come i "Night Thoughts" di Edward Young (http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2013/06/blog-post_7.html) e l'"Elegy written in a country churchyard" di Thomas Gray (http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2013/06/thomas-gray-elegia-scritta-in-un.html).
Nel 1764 Horace Walpole dà il via alla prolifica narrativa gotica con "The castle of Otranto", base e modello fondatore della moderna letteratura dell'orrore: morbosità, crudeltà varie, sfondi foschi, eroine innocenti e perseguitate, apparizioni, ecc. (http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2017/05/introduzione-al-castello-di-otranto-di.html) ne costituiscono la formula vincente, fino a sfociare in quel bagaglio di perversioni che sono i romanzi di de Sade.
All'interno di queste coordinate europee non si può passare sotto silenzio quel gruppo di giovani scrittori tedeschi che riunitosi verso il 1770, prende il nome di Sturm and Drang ("Tempesta e assalto"); nel loro risoluto dissenso nei confronti delle direttive socio-culturali del periodo si manifesta il richiamo del negativo, del "nero", della notte e la seduzione dell'irrazionale. (Nota di Lunaria: ricordo anche Schiller (http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2017/06/commento-al-visionario-di-schiller.html) , e l'influenze che ebbe su Ann Radcliffe)
In Italia la penetrazione di questa nuova sensibilità è sottoposta a forti mediazioni, che ne avviliscono per buona parte l'irruenza e la forza espressiva, riducendola il più delle volte ad esercizi "alla moda", superficiali ed esteriori, riconducibili comunque ai dettami della tradizione imperante.
Nel 1763 ad opera di Melchiorre Cesarotti viene pubblicata la traduzione in endecasillabi sciolti delle "Poesie di Ossian"; l'autore, lo scozzese James Macpherson (http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2017/06/i-canti-di-ossian-di-james-macpherson.html), aveva originariamente spacciato la raccolta per antichi ed autentici frammenti composti da un bardo, Ossian, ch'egli asseriva d'aver tradotto in inglese dal celtico. Grazie alla versione del Cesarotti, il pubblico italiano incontra l'immaginario delle leggende medioevali, i paesaggi nebbiosi e in tempesta, le passioni violente, gli orrori e le malinconie della notte.
Dopo il trasferimento a Roma nel 1767, Alessandro Verri, nelle "Notti romane al sepolcro degli Scipioni" (1702 e 1804) subisce il fascino notturno delle rovine del passato e dell'atmosfera cimiteriale; ma l'opera risulta ancora troppo debitrice verso posizioni e stilemi classici. Il mondo e i resti dell'antichità greco-romana vengono però dipinti sotto una luce onirica, crepuscolare e misteriosa. (http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2017/06/vincenzo-monti-i-miei-versi-preferiti.html)
Nel primo Ottocento, quando ormai per il romanzo nero d'origine inglese si può parlare di diffusione sterminata (tanto che i numerosissimi epigoni rappresentano un caso di vera e propria inflazione), nella nostra letteratura cominciano ad attecchire timidamente alcuni blandi germi della poesia sepolcrale: uno dei casi più famosi è il carme foscoliano "Dei sepolcri" (1807) (http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2013/05/dei-sepolcri-i.html) . Sebbene siano presenti le scene macabre e i momenti evocativamente terrifici, tuttavia alla resa dei conti prevale la funzione civile ed educativa, ed il culto delle tombe si orienta verso il riconoscimento dei valori della tradizione passata. Nella stessa chiusura del testo, a seguito della rievocazione di personaggi del mito omerico quali Ettore e Cassandra, con un'immagine estremamente solare si sancisce il valore della poesia come via di "onore" per i vincitori e di risarcimento per gli sconfitti della storia.
Un passo dal sapore genuinamente sinistro come:
Forse tu fra plebei tumuli guardi
vagolando, ove dorma il sacro capo
del tuo Parini? A lui non ombre pose
tra le sue mura la città, lasciva
d'evirati cantori allettatrice,
non pietra, non parola; e forse l'ossa
col mozzo capo gl'insanguina il ladro
che lasciò sul patibolo i delitti.
Senti raspar fra le macerie e i bronchi
la derelitta cagna ramingando
su le fosse, e famelica ululando;
e uscir del teschio, ove fuggia la Luna,
l'upupa, e svolazzar su per le croci
sparse per la funerea campagna,
e l'immonda accusar col luttuoso
singulto i rai di che son pie le stelle
alle obbliate sepolture.
oppure uno dal tono spettrale:
Non sempre i sassi sepolcrali a' templi
fean pavimento; né agl'incensi avvolto
de' cadaveri il lezzo i supplicanti
contaminò; né le città fur meste
d'effigiati scheletri: le madri
balzan ne' sonni esterefatte, e tendono
nude le braccia su l'amato capo
del lor caro lattante onde nol desti
il gemer lungo di persona morta
chiedente la venal prece agli eredi
del santuario.
risultano alla fine scoloriti dal finale:
E tu onore di pianti, Ettore, avrai
ove fia santo e lagrimato il sangue
per la patria versato, e finchè il Sole
risplenderà su le sciagure umane.
Vedi anche: http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2018/01/il-romanzo-nero-1-horace-walpole-e.html