Ceccardo Roccatagliata Ceccardi & Giovanni Camerana

Riporto qualche Poesia di Ceccardo Roccatagliata Ceccardi (1871-1919)

Autore dalla vita sfortunata, in costante miseria...

Le sue poesie sono molto introspettive, spesso legate solo a paesaggi spettrali... con costanti riferimenti alla morte e alla malinconia.

Storicamente, conobbe il d'Annunzio, e si potrebbe fare un paragone tra i due...


VIALE DESERTO

Svolgonsi sul vial, silenziose
l'ore di luna. Splendono i sedili
come in un sogno d'infiniti aprili
macchie di rose,
che dilungano in candido filare
per rive ombrose dove tace il vento
e in mezzo scorre un lento scintillare
d'acque d'argento.
Scende il viale: ed un orror aduna
di ombre. E da l'ombre piene di spaventi
escon fantasme da le risplendenti
ali di luna. E vanno con un pallido fruscio
fra i grigi orrori e le marmoree panche,
- spiriti di ricordi nell'oblio de l'ore bianche.
E come incenso diafano di morte
rose dileguan pel silenzio - Il Cuore
trema. Oh l'eterno sogno de l'amore
e de la morte!


VERSI TRISTI

Oh quando nelle notti limpide i cieli piangono
stelle d'argentea brina
che dice coi canori
suoi lamenti,
che dice
nel cipresseto placido
l'usignolo a le belle dormenti sotto i fiori?


UNA SERA D'INVERNO ALLA FINESTRA

... Una divina
malinconia mi bacia
e di sua ombra
mi ravvolge. Io sospiro
e il mar, intanto,
già irrequieto sotto il pallor lento
dell'occaso sereno illividisce
e il gemer cresce. Quel mutar del giorno
ne la notte, io pendendo a la finestra
immobil seguo e una tristezza eterna
con disperata illusion ne libo.


IL PIOPPO (1903)

Melanconia che da cipressi apprese
orror d'ombre solenni e antico oblio
siede, o pioppo, talor al mormorio
de le tue fronde a luna alta protese.


IN MORTE DI DUE BIMBI INNAMORATI
 (è molto lungo; riporto qualche verso)

Il cipresso tentava
con la guglia l'azzurro ed un tralcio di vite
gli si avvolgeva, salendo con un lento sussurro
d'amante.
E non sapeva l'uno che da un sentiero
di morte egli cresceva;
e non sapeva l'altra
che le foglie d'autunno,
s'arrossano a la brina
come sangue, ed al vento
cadono come gocce
di pianto.


I VOLTI DOLOROSI

Nei volti dolorosi, su le pacate fronti
brilla quietamente effuso, un pallor d'alba
e ne gli occhi ristagna la visione scialba
dei paesi che sognano a l'ombra dei tramonti.
Sotto, l'occhiaie incavansi
come un vecchio sentiero
cui rosero infinite
piogge silenziose;
e i labbri che un oscuro poter, come le rose
morte nei libri, strazia, parlano di chimere
talor la fronte sfiora una carezza d'ale:
la morte? e come un breve spiraglio d'opale
che si svolge tra nuvole misteriose,
gli occhi intraveggon lo scorcio d'un paese fiorito
meravigliosamente; trema il cuore e i ginocchi
tremano. E il labbro esangue
mormora: oh, l'infinito!


FANTASMI AUTUNNALI

Ecco la morte, o cuore; non senti l'autunno che viene
e in man la falce tiene pei sogni e per l'amore?
Ecco; già invade i giardini tra un'onda di nebbia,
le spalle cariche di farfalle morte e di gelsomini.
E invade le colline dal culmine d'oro sognante
sul glauco ciel tramante di guazze settembrine.
Oh strade di campagna ne l'ombra dei vespri perdute,
pallide strade mute, dove la pioggia stagna,
ed egli va, a passo lento, le siepi, le rame spogliando,
foglia e foglia strappando, fra un singhiozzar di vento!
Già dentro l'umida pieve, ne l'albe, tra file di ceri
(fuori i cipressi neri tremano al rezzo greve)
scende il pievan di velluto vestito  e d'or (una squilla
pianger rauca, oscilla, fuori sul borgo muto)
e dice ai morituri: la morte sentite? Oh, pregate
per quante son passate, bimbe, gigli sui muri,
pregate pace per quanti mai più torneran dai profondi
capi brinati e biondi, bocche e cuor, palpitanti!
Tu dolce amor lo sai e pensi: l'autunno già viene
e in man la falce tiene: non tornerò più mai.
Che importa se maggio inonda di petali rossi e nivali
gli orti, e di frulli d'ali? Se d'un riso di bionda
luce, le case inonda? Le rose, a novembre, un dì morte,
non sono mai risorte su da la nebbia fonda!
Oh quando batton l'ore dei tristi addii supremi
non vale, o cuor, se gemi, non val se piangi, amore,
un gel di morte ne invade ed ogni sogno si sfoglia:
perfin l'ultima foglia de la speranza cade;
Le mani strette ai miti colloqui, le bocche tra baci,
i volti che di paci rosee il sol ha fioriti
stan larve taciturne in fondo all'anima quali
posano nei ducali orti, tra fonti ed urne
(e dietro sfuman scene di pallida luce soffuse)
l'iddie pagane schiuse le forme al ciel, serene
offron quelle bellezze antiche cullate su l'anche
l'agili membra bianche, nido di tenerezze;
ma sotto il marmo langue la vita (che freddo!) e l'ondate
sue tiepide e rosate mai più vi slancia il sangue.


COLLOQUIO SENTIMENTALE

Nel freddo parco ove le nude rame
drizzansi tinte di grigio, ne la bruma,
e per gli umidi viali si consuma
la rosea reliquia del fogliame,
- nel parco - tra l'aléé gialle e brinate,
due ombre proprio adesso son passate.
Son senza sguardo le pupille: morte;
appena un'eco di parole smorte
arriva - appena - ne le nebbie immote:
son molli i labbri e pallide le gote.
Due fantasmi nel parco desolato
hanno evocato il fulgido passato...
...Vanno così nel parco dove i rami
- nudi - torpon ne l'aria senza sole:
la notte sola intende le parole:
e la terra è la reliquia dei fogliami.


LE RASSEGNATE

L'une - fantasme pallide, smarrite
come in un sogno d'autunni lenti
l'estrema gioventù varcan silenti
ne la penombra de le case avite.
Oh le fanciulle che non son partite
spose! - O, con i diti in umili opre intenti,
beltà sfiorite - o cuor tiepidi spenti:
tutte sacre all'olivo umili vite!
E mamma invecchia: un risplendor che trema
roseo, e accenna, inseguono i fratelli.
Oh amore! E in casa odora il crisantema.
Ed esse estasiate in una pia
vision d'azzurro, pregano, mute: Ave, O Maria.


IL VIAGGIO ETERNO

Una pace diffusa di colore
come nei vespri d'un ottobre mite
quando le selve sono ancor vestite
di foglie ma già un tenue pallore
s'insinua pel verde e un'indistinta
malinconia vien dilagando in cuore,
e l'anima si sente ognor sospinta
verso un'ignota meta di dolore...
Un cielo bianco, bianco e sonnolento
un paesaggio da le tinte smorte;
dir si poteva: è il regno de la morte.
questa pianura, questa e senza vento?
Io viaggiava verso lei malata,
a piedi e solo, ed ero molto stanco;
era la vista mia come annebbiata
dal polverio de lo stradale bianco.
Era la mente mia una tristezza
senza confine, come un mar di bruma
che fluttua via via, e mai l'alluma
neppur di vespro pallida dolcezza.
Oh! Io voleva affrettarmi e mi sentia
come un legame a' piedi - che tormento! -
non potea camminare, era la via
così lunga e concesso solo un lento
passo per volta!
... Non l'avrei più veduta,
mai più, mai più veduta! O dolce e bella
faccia, o di rose solatie tessuta
faccia che non baciai ma che m'ha riso
forse ora la fatal ombra di morte
t'ha scolorito? ... Son le guance smorte
la bocca è chiusa e non ha più sorriso!


OMBRE DI GUINDOLO

Discendeva la sera con lacrimanti veli
di cenere e d'oblio su la muta pianura
gli alberi si torcean
con la pensosa paura
da l'ombra de la terra ai fantasmi dei cieli.


MADRIGALE BARBARO

Ad uno ad uno cadono i petali
d'un giglio sotto l'estiva pioggia,
gemmati di polline d'oro
pio ricordo de' baci del maggio.
Così nei giorni di dolor torbidi
via dagli umani le gioie migrano:
ma l'alma non crede e riposa
nel miraggio de' tempi passati.


SINFONIA D'AUTUNNO

Alle deserte
anime, autunno,
è caro invidiarti
il pensoso consiglio
e la romita
fatica de l'error quotidiano
con ritorni ed addii, novi ed eguali,
varia ed eterna: quell'errante vita
come l'anima tua che tra un rimpianto
d'alpestre piva oscilla ed un sommesso
sospiro di violino in tremolii
d'uma musica favola mischiati
e pur distinti
quella variante
anima tua che poi di solitari
corrucci attediandosi in irosi
impeti balza, come a notte vento
che con un lungo miagolar si svegli
tra piova che dal vespero cadea
in gocciolio di pianto, e cupo rombi
rotolando la grandine che a' tetti
stride - ed intanto palpebra d'orrendi
baleni il ciel su mischie di fumanti nuvole
e a' vetri scapigliata un'ombra
d'olmo da l'orto rapida
montando
l'umile lare assalta.
Ed il fanciullo
a un tuon ridesto, immobil guata, orecchia
temendo, finché l'alba non iscaccia
il buio orrore, ed ei balzando, schiusa
la finestra, ne l'aer fuggenti nuvole affissa
e intorno i verdi colli
che rifiatan madidi di piova
un roseo vapor: sotto il pollaio
che ne l'aia mattina, o per un un campo
un mugghiar di bovi a mezzo un solco.
Così tra un lento gemito di cavi
legni tra lor dialoganti irrompe
infuriando un impeto di ottoni
e tra singulti di viole cresce
come mar mugghiando; e poi quieta
con fremer lungo a mezzo un tintinnio
d'arpa romita cui rinfranca il chiaro
echeggiar d'un corno in tra l'allegro
strepito de la caccia.


SENSAZIONE D'OMBRA A VALLE

Valle, raccolta all'ombra dei castani
ch'odi del fonte i secolari pianti
e gemer pe' silenzi risonanti
melanconie di murmuri silvani
che misteri infiniti e che lontani
mondi d'anime antiche sospiranti
entro gli arbori cavi, od in arcani
specchi, fingonsi in cuor, i viandanti!
E s'affrettano. Troppo usa la morta ombra
sui tetti premere torpendo,
in quei silenzi. E i tetti, ruinosi,
giaciono. Oh mai rattenne a' paurosi
padri la fuga, il santo de la porta
che da' selci fioria, benedicendo.


MOTIVO GRIGIO

Il crepuscolo scende
la nebbia distende
per l'aria che si oscura su la pianura.
Di su una rama
un capinero chiama
la sua dolce compagna
smarrita a la campagna
chiama, si lagna, chiama,
ma, in su la rama
non torna la compagna
da la campagna.
E più l'ombra discende.
La nebbia si distende,
per l'aria che si oscura
su la pianura.


IL PROMONTORIO DI PORTOFINO

Contro il ciel inarcando
l'antichissima groppa il promontore
fuor de' liguri golfi,
glauconido di prore
e di paesi aprichi
si sforza nell'aperta
solitudin tirrena
con un spron di rupi
in visioni di mozzi
torrioni e di mura lacerate
immense, sterminate
che profondan, lor cupa ombra avallando,
per un freddo silenzio
di baratri turchini
precipite deserto
di sconsolata pietra
per cui esili pini aprono in rade
ombrelle i tremoli aghi, ed in angusti
cavi brama d'amare
alighe il nido il roco augel del mare.
A cui ognor sul grido
irrequieto, piomba
il frastuon de l'onde
contro lo schermo formidabil rotte;
che per anfratti e grotte
irrompon quindi; e donde
rigorglian con fier rombo
e un lamento di verd'acqua che bolle...
cui risponde
il garrire del vento.
O ch'esso il freddo gorgo
agiti; o che balzando
fuor de l'equoreo grembo
per le dirute scale a la montagna
eserciti i sonori alberi sparsi
e di fragrante sale i cespi irrori
d'un' arid'erba che la selce nutre:
e gli uni e gli altri educhi
per le stagion che lungi
quelli di fronda ignudi
e questi in rudi canapi contesti -
l'opra de l'uomo li apresti
a solcare le vie de la fortuna.



Di seguito, invece,  Giovanni Camerana

Autore influenzato da temi Scapigliati e con una visione raffinata sepolcrale e necromane riverberata d'Autunno...

COROT

è Autunno. Il parco tanto verde un dì
splendido tanto,
intirizzisce nella nebbia. Il canto
cessò nei rami; ogni allegria finì.

è il triste Ottobre. I fracidi sentier
son seminati di foglie gialle e piene d'acqua; i prati
fumano, come un immenso incensier.

Sullo stagno, che attonito squallor
che strana calma!
Forse lenta nel fondo erra la salma
di qualche ondina dai capelli d'or.

Le bacian l'alghe flessuose il pié
fatto di neve;
non è una morta, è un'ombra bianca e lieve
una ideale trasparenza ell'è.

Nel buio specchio rigato qua e là
di un tenue filo bianco,
immerge la selva il suo profilo
la selva sacra per antica età.

è Autunno, è il pianto funebre, il respir
dell'agonia;
gravi echi d'arpa e strofe d'elegia
paion dal lago e dalla selva uscir....

(1878)


PIRANESI

Quando, angoscioso come una sventura
striscia e pesa sui campi il sepolcrale
buio notturno, e ragno enorme, il Male
trama in silenzio la sua tela oscura

io per le vacue vie, lungo le mura
gialle, ove echeggia e si dibatte e sale
l'incubo, io sogno un sogno mio spettrale;
e il ricordarlo, e il dirlo, m'impaura.

(1881)



BASILEA

... Ripenserò la buia Cattedrale
piena di tombe, e i grandi archi echeggianti
l'immane organo urlante ancora udrò.

Case fosche, atre vie, ponti sonanti,
spettri macabri, austera Cattedrale
Addio!... Son l'Ombra che fra voi passò!

(1882)



NOTE MORENTI

... Montagna e di viola finissimo; e fra i torvi
tronchi, e nei rami brulli, abitati da corvi,
splende, fornace enorme, tempesta incandescente,
d'oro, d'ambra, e di sangue, l'autunnale ponente.
E quell'orgia di brace, la campagna profonda,
il tugurio, funerea macchia meditabonda,
e dei tronchi e dei rami le buie forme nude
si specchian capofitte nella plumbea palude.

(1882)



VALPERGA

Cupo, nella funerea
notte, a luna calante
il cipresso gigante
fiancheggia il color vecchio
del rozzo campanil.

Di notte, enigmi tragici;
le piante paion spettri,
le finestre, occhi tetri;
per la facciata livida
si arrampica il terror.

(1883)



MATTUTINO

E salmeggiano ancora
laggiù, dentro la gotica
navata, le fantasime
bianche; è scoccata un'ora
nella notte, che innonda
l'anima di tristezza
profonda.

... Tutto - i boschi, le nebbie,
le rupi - tutto è spettro.
Tutto è spettro, ed innonda
l'anima di caligine.
Profonda.

... La tomba oscura innonda
tutti i dolori di requie
Profonda

(1885)



CANICOLA

Tempo di morte, sepolcral coperchio
di angoscia e d'afa nella cupa estate;
o lemuri di fiamma che tremate
sull'immenso dei campi arido cerchio.

(1904)



... Sui viventi sepolcri, che vedranno
altre tenebre ancor, tu prega, o Statua,
prega, o raggiante, e prega anche per me!

(1892)



Io sognai. Nella bara la vergine,
come un giglio consunto, giacea;
Sull'occiduo chiaror malinconico
il suo greco profil si pingea (nota della critica letteraria: questo verso può essere visto come un allusione al fatto che la Morte, nel viso della fanciulla, acquista una bellezza classica, che per definizione, è la bellezza ideale)

... Cupo sogno, presagio funereo!..
La mia Musa, oh segreti d'Iddio!
Era quella defunta: quel gemito,
Ahi sventura! Era il gemito mio.

(1865)


Guarda lo stagno livido!
Che confusi bagliori, e che mistero!
Come nel fondo si spande il crepuscolo
Vermiglio e nero!

... Le basse nebbie allungandosi
come fantasmi e incombono sul denso
stuolo di giunchi e sulla cupa requie
del piano immenso.


Questa è l'ora in cui piovon le rugiade
sui fiori dei prati e sui martirii umani
l'ora in cui il vento e l'onda l'ira cade.

(1891)



HELDER

Le tetre dune sfuman nel crepuscolo,
le vigilanti del nordico mar;
Desolati profili, enormi tumuli,
catene eterne del nordico mar.

... Un fil d'ombra divien la freccia gotica
dei mulini il torneo strano finì.
Sul cielo giallo nereggiano le immobil
braccia di spettro; il bel sogno svanì.

(1883)



BEETHOVEEN

Fino al gemito uscente dalle tombe!
Dorme sul drappo negro, ella, il bel fiore,
pallido e biondo, e l'atra notte incombe

(1885)



VALLE D'ANDORNO

Dimenticarti
non posso. Plumbeo sulle mura gotiche
dove affogo i miei dì. sul medioevale
declivio grave di torri e di frecce
pesa il cielo autunnale.

Dimenticarti,
non posso. E quando nei brumosi vesperi
scendo le mute vie bagnate d'ombra
le lacrimanti vie, le solitudini,
Morte, che l'erba ingombra.

(1889)



NOTTURNI

L'ombra i suoi riti celebra;
dorme la terra mesta.
E la mia stanca testa
dorme sull'origlier.

Fra il sonno un lieve battere
d'ali e un triste lamento
passar per l'aria sento
con lugubre mister.

Morta! e mi sveglio in lacrime.
Son quieti gli orizzonti,
e biancheggia de' monti
il nitido profil.

Tetro delirio! Brivido
Profondo!...E intanto i prati
esalano beati
l'inno primaveril.

(1867)



AD ARNOLDO BöCKLIN

IV

Plumbeo mar, sepolcrale isola, cime
lugubri alto surgenti, alto invocanti
delle rupi, o flegrei canti e compianti
densi di erranti strofe in bieche rime

porto di tombe pallide, sublime
cattedral di cipressi alto imploranti
sugli eroi, sui poeti e sugli amanti
l'amplesso eterno che ogni duol redime.

Voi tra i gorghi e le Sirti del mortale
sogno, al di là degli uragani, voi,
bianche rive di oblio, Tebe ideale,

Voi siete come la crescente voce
d'organo, immensa fra il tumulto, a noi,
fascino e calma nel tumulto atroce

(1900)



ELI! LAMMA SABACTHANI!

Tenebra di sepolcro. Biancheggiava
sotto la tenebria universale,
come un lembo lunar, la città prava.
Dall'arche i morti uscian: L'antemurale.

(1894)


LE MADRI

Tre sono. Circonfuse dal profondo
Inaccessibil Tenebror. Tre sono
e si chiaman "le Madri". Oscuro suono,
ignoto ai tempestosi echi del mondo.

Al di là di ogni spettro ed ombra, in fondo,
alla region del sotteraneo tuono,
seggono immote in sul terribil trono,
meduse ambigue, senza forma e pondo.

Esse, che uguali al Fato eterne stanno,
stringon la chiave del feral problema.
Non cominciaron mai, non mai cadranno;

Surgono immani, e forse a noi parventi
quando affondiam nell'agonia suprema;
Spavento esse avernal tra gli spaventi.

(1899)