I Racconti Neri e Fantastici di Nathaniel Hawthorne

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Solitario come alcuni dei suoi monomaniaci eroi e consapevole dei tremendi rischi connessi con questa solitudine, Hawthorne elabora con la sua narrativa una complessa lettura della realtà del mondo e al mondo la restituisce con un'interpretazione del suo substrato simbolico e morale, dopo aver attraversato più volte, in entrambi i sensi, l'ambigua soglia che divide esterno e interno, realtà e fantasia, innocenza ed esperienza, umanità e individuo, storia collettiva e destino personale. Da questo processo di iniziazione discende il valore fondante di questi racconti che affrontano temi, situazioni e ossessioni che diventeranno veri e propri archetipi all'interno della successiva tradizione letteraria americana.
Con largo anticipo sulle formulazioni freudiane, Amore e Morte si inseguono e si intrecciano in vario modo nelle prime tre storie qui presentate: "Rintocchi funebri per un matrimonio", "Il mantello di Lady Eleanore", "Il Maggio di Merry Mount". Con tocchi sapienti Hawthorne ne modula realisticamente le variazioni, proiettando le vicende su sfondi storici che ne allargano sempre più l'incisività e l'aderenza dall'individuale al collettivo, dalla concretezza al singolo dettaglio all'autenticità della ricostruzione del quadro d'insieme.
Non si può comprendere la complessa alchimia attraverso cui i racconti sono distillati senza tener conto del retroterra culturale da cui Hawthorne proveniva e della particolare prospettiva storica da lui adottata nei confronti del passato e del presente del proprio paese. L'impronta della cultura puritana dei propri antenati condizionerà lo scrittore tanto più a fondo quanto più la sua coscienza e l'impulso artistico lo porteranno a contestarne radicalmente i principi, gli eccessi e le conseguenze. Stretto in un nodo così contraddittorio, Hawthorne reagisce contemperando paradossalmente le esigenze estreme del contrasto: se il retaggio puritano lo carica di sensi di colpa rispetto alla sua scelta artistica di comporre racconti piuttosto che sermoni, egli scriverà racconti che dei sermoni hanno tutta la tensione morale, il valore di monito e di exemplum, ma al contempo metteranno in discussione con perentoria grazia ed equilibrio la spietata ideologia repressiva che per secoli li aveva ispirati.
La problematicità nasce naturalmente dall'intimo coinvolgimento personale dello scrittore nella materia trattata: come egli stesso ricorda nell'introduzione alla "Lettera scarlatta", uno dei suoi antenati si era particolarmente distinto nella persecuzione dei Quaccheri e, per quanto spinto da un sincero senso di colpa, caratteristicamente Hawthorne si sforza di trovare una posizione di equilibrio tra gli estremi dell'intolleranza dei carnefici e del fanatismo delle vittime, schierandosi senza riserve soltanto a fianco dell'innocenza.
La dialettica tra orgoglio e vergogna costituisce non solo la molla di molte  delle vicende narrate, ma è spesso messa in scena in maniera autoreferenziale, rapportata alla situazione stessa dell'artista come conflittualmente la vive Hawthorne che, cosciente del travalicamento da lui operato dei limiti imposti dal proprio retaggio culturale, lo vive alla stregua di un nuovo peccato originale, una colpa imperdonabile quanto inevitabile, necessaria, addirittura provvidenziale, come un altro autore tra  i suoi favoriti, Milton, l'aveva celebrata nel "Paradiso Perduto".
(Nota di Lunaria: altro autore che prossimamente commenterò)

Partendo dalla calvinistica sfiducia di fondo nell'umanità, Hawthorne dimostra di possedere una sensibilità straordinariamente sintonizzata sulla lunghezza d'onda del peccato: egli sente il fruscio del serpente anche nel paesaggio più sereno e le insidie s'addensano più minacciose proprio attorni ai personaggi più innocenti. E se da un lato la tentazione di isolarsi in una posizione di altera superiorità incomberà su tutti i personaggi che incarneranno il ricorrente tema faustiano, l'autore ne sarà redento proprio dallo sforzo di comunicare i risultati della ricerca ai suoi simili attraverso l'atto di raccontare, l'equivalente laico della confessione, l'unico sacramento che Hawthorne invidiava alla Chiesa cattolica per il suo potere purificatorio.
Ma la redenzione attraverso la parola narrata nasconde anch'essa un pericolo e un'ombra che rendono conflittuale persino il  rapporto con i propri strumenti espressivi: le parole e i simboli non sono elementi neutri, bensì partecipano delle polarità e delle ambiguità connaturate in chi le adopera o le manipola, caricandosi di potenzialità mai univoche e distinte, proprio come i moti dell'animo e le forze dell'universo che tentano di descrivere.
L'instancabile indagine psicologica e morale, condotta anche attraverso una continua messa in discussione di se stesso e dai propri mezzi espressivi, consente ad Hawthorne di raggiungere risultati altissimi e di mantenere un'attualità ancora oggi a stento appannata dalla patina del tempo. Nella sua solitaria stanza di Salem, temperando fervida fantasia e raziocinio, lo scrittore americano narra in modo così magistrale queste  storie perché sono anche le sue storie.
Storia e favola, amore e morte, bene e male, giovani innocenti e vecchi corrotti, vittime inerti e spietati carnefici si confrontano nel ricco e drammatico universo di questi racconti. Solitario come alcuni dei suoi eroi, Hawthorne elabora con la sua narrativa una complessa lettura della realtà del mondo e al mondo la restituisce dopo averne interpretato il substrato simbolico, dopo averne attraversato più volte, in entrambi i sensi, l'ambigua soglia che divide esterno e interno, realtà e fantasia, innocenza ed esperienza, umanità e individuo, storia collettiva e destino personale.

APPROFONDIMENTO SU ''LA LETTERA SCARLATTA"


"La lettera scarlatta", uscito nel 1850, è il capolavoro di Nathaniel Hawthorne (1804-1864) (che ha scritto comunque anche alcuni interessanti racconti a sfondo nero, come "Il manto di Lady Eleanore", incentrato su una pestilenza o "La figlia di Rappacini", che consiglio di leggere).

L'Autore racconta di aver tratto la vicenda dagli archivi della dogana di Salem, la città portuale del Massachusetts che nel Seicento fu al centro di una spietata persecuzione contro la stregoneria.

La vicenda si svolge nella Boston puritana, dove Hester Prynne, arrivata nel Massachusetts prima del marito, un'anziano scienziato inglese, ha avuto una figlia, Pearl, da un amore illegittimo, e viene punita secondo le severissime leggi puritane: messa alla gogna deve portare per tutta la vita sul petto la lettera A, Adultera, da lei stessa ritagliata in un "bel panno scarlatto". Arriva il marito, il quale, sotto falso nome, si mette a cercare il complice della moglie...

è interessante notare che lo stigma delle lettere cucite sui vestiti, è storicamente avvenuta, proprio a Salem, e proprio nella famiglia dello scrittore! (i cui antenti erano proprio feroci persecutori di quaccheri e streghe!) Il bisnonno materno Nicholas Manning, arrivato a Salem da Darmouth nel 1662, aveva sposato una vedova poco più anziana di lui; anni dopo, nel 1679, aveva riportato con sé in America, la madre, due fratelli e due sorelle. Nel 1680, la moglie lo accusò di aver avuto rapporti sessuali con le sorelle; mentre egli riuscì a fuggire, le sorelle furono arrestate e condannate alla fustigazione (che evitarono, pagando una multa) e  a dover cucire la parola "incesto" sulle cuffiette!

è interessante anche notare che, nel corso del romanzo, la lettera "A" di "Adultera", sarà via via vista e letta dai personaggi del romanzo come "Angelo di compassione" (per l'opera misericordiosa svolta da Hester nella comunità) e "Abile", come Hester viene definità per la sua abilità nel cucire e nel ricamare. Per la piccola figlia Pearl, la "A" che la madre porta sul petto, è un segno che la rende unica e affascinante.
Ci sono state molte interpretazioni, delle critica, al romanzo; c'è chi ha voluto vedere la lettera "A" come segno di inizio della scrittura e della storia, come "America", "Amore", motivo della "colpa" di Hester, che ha ceduto all'adulterio per amore, e questo stesso amore, viene visto anche come riscatto. Carlo Pagetti vede nell' "A" "l'autonomia del segno che parla di sé e per sé, l'impossibilità di rimanere fedeli a una interpretazione univoca dei fenomeni etici e naturali." Pagnini invece vede nell' "A" Hawthorniana "Il Segno del Mistero", concreto riferimento all'indefinibile e all'inesprimibile, suggestione infinita di senso: Hester (come suggerisce Vito Amoruso) è il simbolo dell'America che cambia, che "si lascia alle spalle il passato pur scegliendo di abitarlo".  

Io suggerisco anche un confronto con Pirandello, e le sue "maschere", che tutti indossiamo, e che ci vengono imposte anche dagli altri, come a Hester è stato imposto lo stigma dell' "A"  di "Adultera".

E ora, un estratto del romanzo!

"Tempi rudi quelli, nei quali ogni delicatezza di sentire e ogni forma di cortesia erano sconosciute; e troppo sovente la realtà veniva a confermare, nei confronti di Hester, codesta durezza. Si è già detto come i poveri, beneficati da lei, non di rado ingiuriassero la mano protesa a soccorrerli. Ma eguali amarezze le toccavano anche quando, per il suo lavoro, le accadeva di entrare nelle case dove vivevano dame di molto alto lignaggio; anche queste infatti le stillavano nel cuore gocce di veleno, a volte con quella sottile malizia in cui le donne sono maestre, a volte con dure espressioni che esacerbavano vieppiù la sua ferita ancora sanguinante. Ma Hester era preparata a quanto accadeva: non rispondeva mai agli insulti, se non con una vampata di rossore che le saliva alle gote, per ricaderne subito dopo e spegnersi nel sangue del suo povero cuore. Tutto ella sopportava con pazienza di martire; e se non giungeva a pregare per i suoi nemici, era soltanto per il timore che la preghiera di una peccatrice si mutasse in maledizione.
La sentenza che l'aveva colpita le pesava ancora addosso senza requie e a ogni momento le rinnovava la pena. Per via, i ministri di Dio la fermavano e le rivolgevano delle esortazioni che raccoglievano intorno a lei un crocchio di gente ostile; se entrava in una chiesa con la speranza di essere riscaldata ed illuminata da un raggio della celeste bontà, le accadeva di ascoltare una predica piena di invettive contro di lei. [...] Le sembrava allora che tutto intorno a lei, la natura stessa, avesse coscienza della vergogna del suo passato; ed ella non avrebbe sofferto pena più angosciosa, se avesse udito le foglie degli alberi raccontarsi sommessamente la sua tragica storia, se d'estate la brezza avesse sussurrato quell'insulto o le raffiche del vento lo avessero urlato, d'inverno. E che pena, quando qualche straniero che la vedeva per la prima volta si fermava a considerare curiosamente la lettera scarlatta e con quella sua fissità oltraggiosa sembrava imprimergliela sempre più a fondo nelle carni. Il suo istinto l'avrebbe portata a nascondere con le mani quel segno; ma sempre ella si dominava in tempo. Né minor tormento le infliggevano gli sguardi della gente con cui s'incontrava ogni giorno; ché il tempo, invece di lenirlo, rendeva quel dolore sempre più intollerabile."