L'esperienza della Morte

Da "Io discendo nella barca del Sole" di Eugen Drewermann


Dovremo anzitutto occuparci dell'esperienza della morte ovvero dell'ineludibile riconoscimento di quanto sia effimera la nostra vita, per comprendere chi siamo in questa realtà mondana e cosa speriamo per la nostra esistenza. Che cosa siamo noi uomini di fronte all'onnipotenza della morte? Oppure, rovesciando la domanda: cos'è la morte, questa presenza che sempre ci accompagna, minacciosa e talvolta liberatrice, come abisso o rifugio, come tomba o grazia, a seconda delle nostre sorti?
Una cosa è certa: soltanto chi è tanto temerario da amare alcunché su questa terra guarda preoccupato alla morte. Soltanto chi è stato deluso nei propri pensieri può, infine, giungere a cercare formalmente la morte. Eppure, proprio in questo caso, ciò cui si anela è una vita più vera. Siamo così arrivati al cardine di tutte le domande: quando viviamo liberamente?

Il desiderio di abbandonare questo mondo ha trovato una volta per tutte mirabile espressione in uno dei più antichi testi letterari dell'umanità risalente alla cultura antico-egizia, il "Dialogo di un uomo stanco della vita con la sua anima":

"Oggi ho visto davanti a me la morte. Un malato risana, se dopo la sventura ritorna nello spazio aperto. Oggi ho visto davanti a me la morte come profumo di mirra quando sediamo al riparo del sole nei giorni ventosi. Oggi ho visto davanti a me la morte come profumo di loto quando sediamo sulla riva dell'ebrezza. Oggi ho visto davanti a me la morte come il cessare della pioggia quando il contadino rientra a casa dal campo. Oggi ho visto davanti a me la morte come un cielo rischiarato. Oggi ho visto davanti a me la morte come colui che desideri rivedere la propria casa dopo aver trascorso lunghi anni di prigione."

"L'oltretomba è il luogo della nostra dimora, la meta del cuore; la patria è l'occaso, approdo del nostro viaggio. Farò un'ombra, sarà piacevolmente fresca, così potrai compiangere le altre anime che hanno troppo caldo. Berrò l'acqua alla fonte e lascerò sorgere l'ombra."

Esiste una terza via per affrontare la morte, che scaturisce direttamente dalla vacuità della vita ovvero dall'inanità dell'esistenza. Questo modo di sperimentare la morte è descritto da Hugo von Hofmannsthal in uno dei suoi drammi in versi, "Il folle e la morte". Claudio, seduto alla finestra, scruta la vita indaffarata della città e medita sulla smorta e fredda aridità della propria esistenza che non ha saputo trovare una ragione in alcun sofisma, né un senso in alcuna dottrina:

"Come fiori divelti che una torbida
acqua trascina nei suoi gorghi, gli anni
della mia gioventù sono trascorsi,
e non sapevo che ciò fosse esistere.
Mi circondava un pallido crepuscolo,
ero oppresso nell'intimo, sconvolto,
sentivo freddo il cuore, opachi i sentimenti
e preclusa in strada ogni realtà:
non sorsero tempeste a liberarmi,
non fui travolto dagli alti marosi,
il dio non si levò sulle mie peste
su cui combatti finché vinci o posi."

E questa, la risposta della Morte:

"Quello che a tutti spetta a te fu dato,
vivere in terra una vita terrena.
In ciascuno di voi soffia uno spirito
che dà a questo caos di cose morte
la sua proporzione e di un deserto
fa il giardino su cui felicità
fiorisce, ora vigore, ora disgusto.
Triste per te se appena oggi l'impari!
Si lega in questa terra e si è legati,
ci si espande in gioiose ore, si trema;
e si piange nel sogno e si è turbati,
si rinuncia, ancor trepidi di attesa,
caldi del soffio della vita, assorti
ma ogni cosa matura a me vien resa."


Non c'è interrogativo dell'esistenza umana che resterebbe immutato davanti alla consapevolezza della perenne presenza della morte.
Fra dolore, amore e noia, fra stanchezza, compassione e accidia, fra disperazione, desiderio e smarrimento si nascondono i tre diversi travestimenti in cui ci può apparire la morte.