"Il sotteraneo di Porta Nuova" di Giovan Battista Bazzoni

Non so cosa darei per avere questo libro

soprattutto in questa edizione (1992)


"Reginaldo nello stordimento mentale in cui trovavasi provò maggior ribrezzo e paura alla vista delle strane oscene figure ch’erano in quel sepolto luogo, le quali alla tremula e livida luce che spandeva la fosforescente fiamma dell'ara sembravano muoversi ed agitarsi con magico sussulto."

"La luna coperta da bianco velo di nebbie mandava una smorta luce sui campi circostanti al di là de' quali vedevansi sorgere le torri della città. Il marchese non era più in sé stesso, l'ordine delle sue idee s'era guasto e scomposto del tutto, i suoi pensieri abberavano. Fu rinvenuto il mattino a poca distanza di là seduto sopra un ammasso di pietre col sorriso della demenza impresso in volto." 

N.B: La copertina è tratta dal bellissimo dipinto di John Martin, "The Bard", il mio quadro preferito (insieme a questi https://intervistemetal.blogspot.com/2020/04/pittori-del-seicento-settecento.html  https://intervistemetal.blogspot.com/2019/12/astrattismo-surrealismo-metafisica.html)


"Il Basilisco" (racconto horror ottocentesco)

Marina non diede segno di aver udito la mia affermazione. Stando alle apparenze, il ricamo della mano di Venere sul quadro in seta del giudizio di Paride era più importante dell'amore che mi dilaniava il corpo e l'anima.  Rimasi in silenzio, in preda alla disperazione più assoluta, mentre per sette volte ella rinfilò l'ago.  Poi la mia indole appassionata proruppe in un grido: "Voi non mi amate!"  Marina alzò lo sguardo: sembrava affaticata, come se qualcuno le avesse impedito di riposare.  "Sentite", disse. "Esiste una creatura chiamata Basilisco: essa ha il potere di mutare gli uomini in pietra. Quand'ero ragazza, io ho visto il Basilisco... e sono di pietra!" Detto questo, si alzò e uscì dalla stanza, lasciandomi attonito e confuso: avevo capito bene ciò che aveva detto?  Avevo sempre saputo che la sua vita aveva un lato oscuro: un segreto che le permetteva di capire e di discutere argomento cui le altre donne non osavano neppure accostarsi con il pensiero.  Ma, ahimè, era anche un segreto che la condizionava al punto da impedirle di essere felice. Si infiammava e poi, improvvisamente, diventava di ghiaccio; dissertava della saggezza più pura a un'espressione altezzosa. Senza dubbio era stata questa sua eccentricità a scatenare la mia passione.  La sua bellezza non era del tipo che suscita nell'uomo un desiderio subitaneo: era pallida e quieta e aveva la grazia di un'immagine scolpita nel marmo.  Tuttavia, con il passare del tempo, il suo fascino divenne così prodigioso che persino il fruscio dei suoi abiti ondeggianti mi tormentava di desiderio.  Non era trascorso un anno dal nostro primo incontro, da quando l'avevo trovata, ricoperta di fiammeggianti viticci, nel bosco ormai rado della mia proprietà. Come una vera Driade, vestita nel colore dell'erba, intonava inni agli Dei silvani.  La ragnatela invisibile mi imprigionò e io divenni il suo schiavo. La sua casa sorgeva a due miglia dalla mia. Era una dimora bassa, circondata da un parco. La paglia che ricopriva il tetto era percorsa da erba pignola e da licheni dai colori vivaci. In mezzo ai camini centrali, un nido di ramoscelli ospitava un uccello migratore. Le alte finestre fiammeggiavano di emblemi araldici, e quadri raffiguranti re, regine e nobili erano appesi alle pareti delle camere in penombra. In questo luogo ella abitava con un seguito di servitori anziani, donne bizzarre e uomini pressoché idioti, che si prostravano davanti a lei e tuttavia le si rivolgevano in modo assai familiare. Non avrebbero potuto trattarla con maggior reverenza neppure se fosse stata lei ad aver dato loro la vita. Le donne le preparavano strane cose (scatole contenenti miscugli di erbe aromatiche e cuscini fatti con il pappo dei cardi) e gli uomini erano felici come non mai quando potevano riferirle del primo uovo deposto dal tordo nel roveto o di aver avvistato i tarabusi che abitavano la palude.  Marina era per loro Dea e figlia. Ogni giorno seguiva un disegno preciso: al mattino, Marina cavalcava, cantava e suonava; a mezzodì leggeva nella biblioteca polverosa, bevendo ogni parola dei drammaturghi e dei filosofi seguaci del platonismo. La sua stessa vita era così tragica che un poeta elisabettiano l'avrebbe adorata.  Nessuno, se non la sua gente, conosceva la sua storia, ma esistevano meravigliosi racconti che descrivevano il modo in cui ella si era piegata alla tradizione, riunendo in se stessa le caratteristiche di migliaia di antenati dediti alla stregoneria. Nel fiore della sua giovinezza Marina aveva cercato la conoscenza anomala, ne aveva fatto esperienza e se n'era pentita.  Il mattino successivo alla mia dichiarazione, ella attraversò cavalcando il parco, diretta al sentiero che avevo l'abitudine di percorrere, meditando, fino a mezzodì. Era sola, vestita di un abito bianco con una morbida cintura azzurra. Quando la sua puledra raggiunse la barriera di tassi, ella smontò da cavallo e mi venne incontro con una gaiezza del tutto insolita per lei. Al collo portava uno specchio scuro e le braccia seminude erano adorne di gioielli cabalistici. Quando mi inginocchiai per baciarle la mano, ella si lasciò sfuggire un doloroso singhiozzo.  "Non chiedetemi nulla", mi disse. "La vita in se stessa è già così priva di gioia per essere resa ancor più amara dalle spiegazioni. Lasciamo che ogni cosa rimanga tra noi come è ora. Io vi amerò con distacco e voi con trasporto e non ci saranno rapporti più profondi." La sua voce risuonò di una malinconica attesa, come se sapesse che io avrei dovuto combattere con quella sua decisione, chiara soltanto a mezzo. Aveva interpretato bene i miei pensieri, perché, prima ancora che avesse finito di parlare, proruppi in un grido di ribellione: "Non potrà mai essere così... non posso respirare... morirò." Marina si accasciò sul muretto coperto di musco. "Bisogna forse compiere il sacrificio?", chiese, quasi a se stessa. "Devo quindi svelargli ogni cosa?" Per un poco regnò il silenzio; poi, distogliendo lo sguardo, ella disse: "Vi ho amato fin dal primo istante, ma nell'oscurità, la notte scorsa, non riuscendo a dormire a causa delle vostre parole, l'amore si è trasformato d'un tratto in desiderio." Mi proibì di interromperla. "E il desiderio parve bruciare le corde che mi serravano. Nella forza di quell'attimo, ho sentito che sarei capace di abbandonare ogni cosa soltanto per la gioia di essere, una sola volta, completamente vostra." Bramavo di stringerla al mio cuore. Ma il suo sguardo era severo e, d'un tratto, si accigliò. "All'alba", riprese, "il mio desiderio si è spento, tuttavia nella mia estasi aveva giurato di concedere ciò che deve essere concesso per ottenere questa fugace beatitudine: abbandonarmi nelle vostre braccia e fremere con voi prima che si compia un'altra notte. Così sono venuta qui per pregarvi di seguirmi in quel luogo ove l'incantesimo possa essere sciolto, portando così la felicità." Chiamò quindi la cavalla che giunse con un nitrito lamentoso e scalpitò fino a quando Marina non le accarezzò il collo. Poi montò in sella, offrendo alla mia mano un piede calzato in una scarpina di satin e così piccolo da sembrare quello di una bambina. "Andiamo a casa mia", mi disse. "Ho ordini da impartire e dovere da compiere. Non vi tratterrò a lungo: è bene che il nostro breve viaggio abbia inizio al più presto." Mi avviai al suo fianco con la gioia nel cuore, sebbene, quando giungemmo in vista della casa, la supplicassi di parlarmi apertamente di quel viaggio misterioso. Ella si chinò verso di me, dandomi un affettuoso buffetto sul capo. "è una semplice questione di dare e avere", rispose. Dopo aver sistemato i suoi affari domestici, Marina raggiunse la biblioteca e mi pregò di seguirla. Con lo specchio scuro che le urtava le ginocchia, mi condusse nel giardino e poi attraverso un'ampia distesa selvaggia fino a che raggiungemmo un bosco avvolto nella nebbia. Era autunno e gli alberi erano magnifici, avendo assunto ogni sfumatura di toni bruni. Il sorbo, con le sue foglie ambrate e i frutti scarlatti, si trovava di fronte al sicomoro marrone e punteggiato di nero; il faggio argentato ostentava le sue monete dorate quasi a spregio della mia povertà; gli abeti, verdi e screziati di color fulvo, si erano assopiti dentro un'impalpabile ragnatela. Nessun uccello cantava, sebbene il sole fosse alto e caldo.  Marina notò quell'assenza di suoni e, senza preludio alcuno, intonò un brano della ballata della Madre Strega: cantava dei suoi nove nodi magici e del pettine che non riesce a sciogliere i capelli arruffati della donna e il folletto che corre sotto il suo divano.  Il sangue mi si gelò nelle vene: ero atterrito perché, nel cantare, il suo volto aveva assunto la maestà tipica di coloro che commerciano con i poteri infernali. Mentre l'ombra del bosco cadeva su di lei e noi, di tanto in tanto, attraversavamo l'oscurità, vidi che i suoi occhi scintillavano come anelli di zaffiri. Mi convinsi allora che l'ardua prova alla quale doveva sottoporsi sarebbe stata atroce e l'implorai di tornare indietro. Caddi in ginocchio, supplicandola: "Lasciate che io affronti il male da solo! Pregherò che i legami vengano sciolti. Lo pretenderò, accettando qualsiasi punizione." Marina si placò. "No", mi rispose in tono assai quieto. "Se esiste una possibilità di riuscire, essa appartiene soltanto al mio amore. Nell'ardore del mio estremo desiderio oserei fare qualsiasi cosa."  Eravamo giunti alla fine di un sentiero in discesa e ci trovavamo sulle rive di una vasta palude le cui acque luccicanti erano misteriosamente chiazzate di un giallo brillante. Foglie verdi, di una lucentezza così aspra che era quasi pericolosa da guardare, galleggiavano sulla superficie dei laghetti circondati da giunchi. Alte erbe simili a seducenti cortine di velluto muschiato crescevano al di sotto, in netto contrasto con il suolo. Ontani e salici si inclinavano sulle sponde. Dal punto in cui ci trovavamo emergeva a stento dall'acqua un sentiero di pietre grezze, percorso da canali profondi e rapidi, che si incrociavano al centro. Marina poggiò un piede sul primo masso. "Devo andare per prima", disse. "Solo un'altra volta ho percorso questo sentiero, benché conosca le sue insidie meglio di ogni altra creatura vivente."  Prima che potessi fermarla, Marina stava già saltando di pietra in pietra come un animale braccato. La seguii di slancio, cercando invano di ridurre lo spazio tra noi. Ansimava, il fiato le stava venendo meno e i battiti del suo cuore somigliavano al ticchettio di un orologio. Raggiungemmo infine un'ampia polla - delle dimensioni quasi di un lago - coperta di una schiuma color lavanda: lì il sentiero curvava bruscamente sulla destra ove sorgeva una macchia di olmi. Quando Marina li scorse, rallentò il suo passo per poi fermarsi, incerta: tuttavia, non appena ripresi a scongiurarla di non andare oltre, ella proseguì, trascinando la gonna di seta, ormai tutta inzaccherata. Risalimmo la spiaggia scivolosa dell'isola (perché tale era, elevandosi molto al di sopra della palude) e Marina tracciò la strada in mezzo all'erba rigogliosa verso una spaziosa radura ove, sostenuta da due imponenti pilastri, si ergeva una maestosa vasca di marmo, nel cui interno, incrostato da una patina stagnante, giacevano rami decomposti; alcune rane, gonfie e azzurrine, sbucarono fuori al nostro approssimarsi. Sulla sinistra sorgevano le colonne di un tempio: un edificio rotondo, sovrastato da una cupola, con una porta di bronzo, chiusa. Viti selvatiche crescevano lungo il portale, sul quale si abbarbicavano erbe rigogliose spuntate dal terreno fertilissimo; sugli scalini erano incisi dei simboli astrologici. In quel luogo, Marina si fermò. "Devo bendarvi", mi disse togliendosi la sua morbida cintura. "E voi dovete solennemente promettere di obbedirmi in tutto e per tutto. Il minimo errore potrebbe tradirci. "Io promisi e le consentii di bendarmi. Poi ella mi sfiorò la mano, invitandomi a non muovermi e a non parlare, e si diresse verso la porta del tempio. Per tre volte la sua mano colpì il metallo, producendo un rumore sordo. All'ultimo colpo, un sibilo stridente giunse dall'interno e i cardini pesanti scricchiolarono rumorosamente. Un soffio simile a una lingua di ghiaccio guizzò all'esterno e mi raggiunse: atterrito, allungai la mano verso la benda. La voce di Marina, colma di angoscia, mi fermò all'istante. "Oh, perché mai sono così combattuta tra l'uomo e lo spirito maligno? La rete che racchiude la vita sarà squarciata da parte a parte. Non esiste dunque pietà?" La mia mano ricadde inerte. Ogni muscolo del mio corpo cedette. Mi sentii mutato in pietra. Poi, dopo qualche tempo, mi giunse un sentore di legno bruciato, un profumo simile a quello delle essenze orientali che vengono offerte agli Dei indiani. Il portale girò sui cardini e io sentii la voce di Marina, fioca e inarticolata, levarsi in tono di violento rimprovero.  Ore e ore trascorsero in questo modo e ancora io rimanevo in attesa. La cintura, toccata da raggi del sole calante, aveva assunto ai miei occhi una tonalità cremisi, quando il portale si aprì. "Vieni con me!", sussurrò Marina. "Non toglierti la benda. Presto... non dobbiamo soffermarci a lungo. Egli deve saziarsi del mio sacrificio."  Una gioia novella risuonò nella sua voce. Avanzai incespicando e ricaddi tra le sue braccia. Dardi di piacere mi trafissero il cuore a quel primo contatto con il suo caldo seno.  Mi obbligò a voltarmi e, dopo avermi ordinato di guardare dritto di fronte a me, con un unico, rapido tocco sciolse il nodo. La prima cosa su cui cadde il mio sguardo stupito fu lo specchio nero che era stato appeso al suo seno: ora Marina lo reggeva in modo che io potessi scrutarne le profondità.  E laggiù, con un grido misto di paura e di stupore, io vidi l'ombra del Basilisco.  La Cosa giaceva prona sul pavimento: un presagio di orrore dormiente. Piume nere e vivacemente scarlatte gli coprivano il capo, simile a quello di un gallo e coronato d'oro, mentre le ali coriacee da drago erano ripiegate. La coda sinuosa, che terminava con un solo occhio e una bocca di serpente, s'incurvava in un atteggiamento di impudica e beata sazietà. Un male prodigioso guizzava nell'atmosfera che gli era intorno. Eppure, mentre guardavo tutto ciò, una foschia si addensò sulla superficie dello specchio: l'ombra si dissolse, lasciando solamente una forma indistinta e fluttuante.  Marina vi alitò sopra, e mentre io osservavo attentamente e meditavo, l'oscurità sparì dallo specchio, lasciando là ove prima si trovava la Cosa, l'immagine di un uomo prostrato.  Era giovane e robusto: una figura cupa con il volto bianco e corti riccioli neri che cadevano in ciocche aggrovigliate su una fronte armoniosa, mentre le ciglia erano rosse e languide. Il suo aspetto era quello di un demone-dio affaticato.  Quando Marina guardò di lato e scorse il mio stupore, si abbandonò a un riso così argentino e sommesso da ridestare i morti anfratti della palude. "L'ho conquistato!", gridò. "Ho acquisito la pienezza della gioia!"  E, tendendo un braccio, chiuse la porta prima che io potessi girarmi a guardare; con l'altro braccio mi circondò la nuca e, facendomi abbassare il capo, premette la sua bocca contro la mia. Lo specchio le cadde di mano ed ella lo frantumò con un piede sul terreno umido. Ormai il sole era calato dietro gli alberi e brillava attraverso l'intricato fogliame come il fuoco di una stufa.  Le ninfe della polla si levarono e si misero a danzare, grigie e fredde, esultanti per l'assenza della luce divina.  Il vapore, addensandosi, era così spesso che il sentiero divenne pericoloso.  "Fermati, amore mio", le dissi. "Lascia che ti prenda tra le braccia e ti porti. Non è più sicuro, per te, camminare sola." Marina non rispose ma, con una vampata di rossore che le saliva alle pallide guance, si alzò e acconsentì che io la sollevassi da terra, tenendola contro il mio petto. Posò le mani sulle mie spalle e non dimostrò la minima paura mentre io passavo di pietra in pietra. Il cammino si protrasse in modo incantevole e, quando raggiungemmo il piccolo bosco, la luna era ormai sorta sulle colline più lontane. Speranza e paura si contendevano il mio cuore: ben presto entrambe si placarono. Quando deposi Marina sul suolo ora asciutto, ella rimase in punta di piedi e mormorò, con squisito pudore: "Allora, questa notte, mio carissimo.  La mia casa è tua, ora." Così, uniti in un'estasi che nessuna parola può descrivere, camminammo a fianco a fianco, abbracciati verso la casa. All'interno fervevano i preparativi per un banchetto: le finestre erano illuminate e, dietro esse, si scorgevano numerose figure cariche di piatti colmi. Quando entrammo nel salone fummo salutati da una melodia fragorosa e trionfante. Nella galleria riservata ai musicisti alcuni veterano calvi suonavano il flauto, l'arpa e la viola da gamba. Disposti su due lunghe file stavano i bizzarri servitori di Marina, i quali, inchinandosi, gridarono gioiosamente: "Salute e felicità agli sposi!" Poi baciarono le nostre mani e, mentre i suonatori ricreavano quella dolcezza pressoché dimenticata che pervade gli antichi libri di canzoni, ci accomodammo al banchetto, sedendoci su un palco; allora i servi allestirono i tavoli sotto di noi. Ma non fingemmo di avere appetito. Quando l'ultimo vassoio di dolci venne portato via, uno strano spettacolo apparve improvvisamente all'estremità più lontana della sala del banchetto: Oberon e Titania e Puck e gli altri, vestiti con abiti di seta e di satin dalle meravigliose sfumature e adornati con fiori così tardivi da sembrare appena colti. Mi chinai in avanti e vidi che ogni volto era scuro e avvizzito mentre i capelli si erano diradati: così i loro movimenti e il loro canto nuziale mi apparvero maligni e sgradevoli; io non riuscii a sorridere fino a quando essi non furono scomparsi attraverso la porta più lontana. Poi i tavoli vennero portati via e Marina, prendendo le mie dita tra le sue, aprì una danza dall'andamento solenne. I servitori ci imitarono e durante il secondo giro una risata acuta e gioiosa annunciò che la sposa aveva raggiunto la sua camera... Poco prima dell'alba mi destai da un sonno inquieto. Avevo fatto un sogno angoscioso: una schiera di demoni, ladri di un gioiello inestimabile, mi perseguitavano.  Allora mi chinai sul cuscino per trovare consolazione in Marina: le mie labbra cercarono le sue, una mano scivolò sotto il suo capo. Il mio cuore batté un unico, folle colpo... poi si fermò.


Dalla Poesia Sepolcrale al Sublime dell'Orrido

Info tratte da

La rinascita del Gotico negli interessi dell'arte espressiva, grafica e architettonica fu un momento molto significativo nel panorama del Settecento.

Alle visioni di torri merlate, di barbacani e ponti levatoi, di archi a volta e lunghe finestre lanceolate, di lotte all'ultimo sangue che troveranno in Walter Scotti il più geniale e vigoroso rievocatore, di nere foreste e castelli dagli echi ferrigni, si accompagnerà l'esangue languida e impressionante "maniera" della poesia sepolcrale: https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2017/08/la-poesia-sepolcrale.html http://poesiamondiale.blogspot.com/2015/08/poesia-inglese.html tutta gotiche penombre e diafani chiarori lunari sul bianco dei cimiteri, quella elegiaca inglese di Young ("Night Thoughts" http://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2013/06/blog-post_7.html) di Blair ("The Grave") di Gray ("Elegy written in a Country Churchyard" http://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2013/06/thomas-gray-elegia-scritta-in-un.html) di Collins ("Ode to Evening"); ieratica e turgida di classiche rimembranze, quella del Foscolo;  http://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2013/05/dei-sepolcri-i.html https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2017/06/elementi-gotici-nella-letteratura-del.html fedele ai motivi popolari del patrio retaggio quella delle ballate di Bürger che, soprattutto in "Lenore" diede esempio di quel particolare clima preromantico tedesco che fu lo Sturm und Drang. http://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2017/08/introduzione-al-romanticismo-tedesco.html

Nota di Lunaria: al solito, i commenti introduttivi non tengono conto della "Storia\Letteratura delle Donne", quindi devo essere io ad aggiungere nomi come le romanziere e poetesse Sorelle Brontë, in particolar modo Emily, https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2020/06/le-poesie-piu-belle-delle-sorelle_8.html le cui poesie echeggiano di lande e desolate brughiere, sofferenza, malinconia, sepolcri, o di una Charlotte Dacre, autrice del romanzo gotico "Zofloya" e anche poetessa, inedita qui in Italia ma tradotta da Andrea, che leggendola nell'inglese originario, ha pensato di tradurla in italiano e poi di darmi l'autorizzazione per pubblicare le sue traduzioni sul mio profilo. https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2020/10/zofloya-di-charlotte-dacre.html

Ad oggi, che io sappia, neppure Young e Parnell sono tradotti in italiano; anni fa tentai di tradurli io, ma poi abbandonai l'impresa perché "mi affaccendai in tutt'altre faccende", tipo parlare dei crimini del cristianesimo, argomento che il 99% delle persone ignora. Solo che parlare di roba come Pinochet\Ante Pavelic https://intervistemetal.blogspot.com/2019/10/i-crimini-del-dittatore-cattolico.html https://intervistemetal.blogspot.com/2019/07/la-dittatura-cattolica-di-ante-pavelic.html mi toglie il tempo che dovrei impiegare per parlare di cose "più di mio gradimento" come Young e Parnell... Ad ogni modo, qualche striminzita citazione dei loro versi più celebri è possibile trovarla su certe antologie di Storia della Letteratura Inglese o qui https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2013/06/blog-post_7.html

In realtà, già nella poesia italiana del '500 si possono segnalare poeti che anticipano certe elegie cimiteriali, per esempio Luigi Tansillo 

Strane rupi, aspri monti, alte tremanti

ruine, e sassi al ciel nudi e scoperti (1),

ove a gran pena pòn (2) salir tant'erti

nuvoli in questo fosco aere fumanti;

superbo orror, tacite selve, e tanti

negri antri erbosi in rotte pietre aperti (3);

abbandonati a sterili deserti,

ov'han paura andar le belve erranti;

a guisa d'uom, che per soverchia pena

il cor triste ange (4) fuor di senno uscito,

sen va piangendo, ove il furor lo mena (5),

vo piangendo io tra voi; e se partito (6)

non cangia il ciel, con voce assai più piena

sarò di là tra le meste ombre udito (7)


(1) Senza vegetazione

(2) Possono

(3) Scavati

(4) Angoscia

(5) Lo porta

(6) E se non muta la sua decisione

(7) Defunti


"Che i campi il giorno d'ombra e d'orror cinga..."

Valli nemiche al Sol, superbe rupi che minacciate il ciel, profonde grotte, d'onde non parton mai silenzio e notte, 

sepolcri aperti, pozzi orrendi e cupi,

precipitati sassi, alti dirupi,

ossa insepolte,

erbose mura e rotte d'uomini albrgo ed ora a tal condotte

che temon d'ir fra voi serpenti e lupi

erme campagne, abbandonati lidi,

ove mai voce d'uom l'aria non freme, 

Ombra son io dannata a pianto eterno,

ch'a piagner vengo la mia morte

fede e spero al suon de' disperati stridi,

se non si piega il ciel, muovere l'Inferno.


Angelo di Costanzo

Desiai morte, e con pietosi accenti

gran tempo la chiamai crudele e parca (1),

perché la vita mia d'affanni carca

non fu presta a tra d'ira e di tormenti.

[...] Godete, amanti, negli avversi amori:

che spesso uno stato (2) assai caro e gentile

nasce da gravi ed inauditi ardori (3).


(1) Avara

(2) Una situazione

(3) Passioni


Ben assomiglia al tuo, Notte, il mio stato, 

tu ten vai senza Sol,

mesta ed oscura, io d'ogni intorno il cor fosco 

e turbato tengo,

mentre il mio Sole altri mi fura.


Celio Magno

Ecco di rose a questa tomba intorno aprir,

quasi in su' onor, pomposa schiera ch'l seno

aprendo sembran dire:

<< Tal era di colei che qui giace il volto adorno >>

E tal ne sentian l'altre l'invidia e scorno

qual di noi gli altri fiori a primavera.

Me stesso io piango e de la propria morte

apparecchio l'esequie,

anzi ch'io pera (1)

ch'ognor in vista fera (2)

m'apparir davanti e'l cor di tema agghiaccia:

chiaro indicio che già

l'ultima sera s'appressi e'l finne di mie giornate apporte.


(1) muoia

(2) in aspetto feroce


Matteo Bandello

Aspere rupi, incolti sassi e aperte dal terremoto e profondate grotte, d'orror di fredda tema e d'atra notte piene, e caverne inospiti e deserte; strade mai sempre periglio ed erte, d'altre roine attraversate e rotte, acque schiumanti con furor condotte, per valli ognor di nuvole coperte, di famelici lupi e crude e fiere d'orsi, di serpi e di null'altre belve, covi, spelonche, buconi, antri e tane, e voi sì spaventose e oscure selve, com'è che mi facciate qui vedere chi m'arde e fa le mie speranza vane?  Alpi nevose, che le corna al cielo e quindi oltre misura alzate, e nell'algente verno e alda estate orride séte di perpetuo gelo.


Giovanni Guidiccioni

Qui vedrai campi solitari nudi, e sterpi e spine invece d'erbe e fiori e nel più verde april canuto verno. Qui i vomeri e le felci in via più crudi ferri coverse, e pien d'ombre e d'orrori questo di vivi doloroso inferno mirando aride stoppie e tronchi e sterpi le piagge ove l'altrieri splendeano i fiori e ondeggiavan l'erbe; e l'odorate siepi, nude spine, che le strade spargean dianzi di rose; andan sotterra le sdegnose serpi.


Giovan Battista Strozzi

Ombra io seguo che piage e monti copre per l'oscurissima foresta del mondo a fin discuopre aguati con sua face atra funesta... Quante e che spaventose ombre e larve atre, e scuri mi spaventan fantasmi: e tristi auguri e voci dolorose? Né più (miseri) or l'una or l'altro, ma solo Notte, pur sempre, e stigia (1) Notte?"

(1) infernale

O sera cupissima infelice, che svelta da radice tutta la mia purpurea primavera, di sì fosc'ombra nera non pur l'anima imbruni ma tanti in sen m'adui, in sen mi chiudi abissi e inferni dispietati e crudi.

Purtroppo, sono tutti nomi di nicchia (nel Rinascimento a farla da padroni sono Ariosto e Tasso, decisamente pro-cristianesimo, non a caso) e conosciuti solo da chi, come la sottoscritta, è Bibliomane Integralista.

Aggiungo anche una riflessione sulla Poesia Barocca Italiana del Seicento.   

Il tema della Procella, ovvero la Tempesta, è tipico del Pre-Romanticismo e del Romanticismo, ma venne descritto, con versi di sublime bellezza, anche dalla poesia barocca del Seicento, che apprezzo molto...  http://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2020/09/atre-nubi-atra-tempesta-la-tempesta-in.html

E CERTO CHE Sì, tutti questi poeti si struggono d'amore per Me, rimpiangendo di non averMi potuto celebrare come Musa unicamente perché sono nata nel 1986 e non nel Cinquecento o Seicento.


Dalla poesia cimiteriale alla narrativa del terrore il passo è breve.

In quell'aurora preromantica, pervasa dai suoi ritorni alla natura, dalla spontaneità dell'aspirazione, dalla suggestione per i dissepolti documenti di un glorioso passato, dal gusto neogotico, da livide visioni notturne, bastava trovare una piattaforma filosofica, per così dire, agli slanci irrazionalistici del sentimentalismo e dell'immaginazione, e uno sbocco alle forze prorompenti che scaturivano dalla rivoluzione della sensibilità.

Se questo venne trovato nel romanzo che, meno suscettibile della poesia a subire trasformazioni formali ancora immature, apparve lo strumento principale e di più vasta accessione popolare dell'espressione artistica, quella venne enunciata da Burke nel suo studio sul Sublime: il potere di suscitare forti emozioni che, secondo il lontano filosofo greco Longino, era inteso come forma retorica e di persuasione oratoria, per Burke diventò una fonte di piacere estetico.

L'orrido, il macabro, l'orripilante, il soprannaturale non sono infatti che manifestazioni di un Bello negativo, capovolto che, come il Bello, hanno un loro fascino capace di raggiungere le punte più elevate del Sublime.

Nota di Lunaria: e infatti de Sade nei suoi libri celebra in particolar modo "le donne brutte", anziane, puzzolenti, con difetti fisici ma estremamente lussuriose e in grado di attizzare le fantasie dei libertini che le considerano loro pari in fatto di voluttà e scelleratezza, mentre le "delicate fanciulle", svenevoli, buone, passive, timorate di dio, vengono regolarmente sottoposte a torture e alla morte. Vedi il romanzo "Justine", in particolar modo o "La Filosofia nel Boudoir" (https://studifilosofia.blogspot.com/2015/03/donatien-alphonse-francois-de-sade_10.html)

Vedi anche: https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2020/10/dallilluminismo-al-preromanticismo.html http://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2017/06/i-canti-di-ossian-di-james-macpherson.html https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2017/12/la-bellezza-dellorrido-nel-romanticismo.html https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2017/12/la-bellezza-la-malattia-e-la-morte-in.html

"Zofloya" di Charlotte Dacre

 Nota di Lunaria: ho ricevuto dei commenti molto interessanti relativi a un romanzo gotico del 1806, "Zofloya" di Charlotte Dacre. 


Un romanzo che qui in Italia è misconosciuto ma che all'epoca influenzò autori come Shelley. 

Come al solito, si omettono tante autrici (che spesso ebbero anche un successo stratosferico, nella loro epoca) perché si deve cancellare "la Storia delle Donne" per far credere che "le donne non hanno mai fatto niente dal punto di vista letterario, musicale, scientifico e artistico". 

Per cui non posso che condividere con più persone possibili i commenti e le traduzioni fatte da Andrea B., che mi ha contattato e poi ha dato il suo consenso alla pubblicazione del suo contributo sul mio blog e profilo.

Commenti e traduzioni a cura di Andrea B.

Se conosci l'inglese ti consiglierei di leggere “Zofloya, or the Moor” di Charlotte Dacre, pubblicato nel 1806. Di questa scrittrice non è mai stato tradotto nulla in italiano, eppure è una figura molto importante nella storia del romanzo gotico. P. B. Shelley la ammirava moltissimo e il suo primo romanzo gotico, “Zastrozzi” è ispirato proprio a Zofloya. 

Mentre la Radcliffe eccelleva nella suspense e nel mistero, (https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2019/03/ann-radcliffe-i-misteri-di-udolpho-gli.html) la Dacre abbondava in scene violente e situazioni eccessive. In “Zofloya” per esempio ci sono temi scabrosi che molto raramente venivano trattati da altri scrittrici. 

Ad esempio, l'infatuazione di una giovane nobildonna per un uomo di colore, la relazione amorosa tra un giovane e una donna più anziana di lui, una madre in fin di vita che viene ricoperta di insulti dalla propria figlia, senza contare poi i numerosi omicidi e suicidi sanguinolenti e l'erotismo serpeggiante di certe scene (sempre nei limiti dell'epoca, naturalmente). Insomma, un romanzo gotico unico che meriterebbe finalmente una bella edizione in italiano. 

Ho provato a tradurre un brano per darti un'idea dello stile della Dacre:

“Tenebre e tetra solitudine regnavano intorno, quando gli occhi di Vittoria si aprirono di nuovo al senso della vita e alla percezione. Si trovò coricata sulla nuda terra; il fragore del tuono la sovrastava e lampi di vivida fiamma di tanto in tanto mostravano la terrificante sublimità degli oggetti circostanti. Immense montagne, ammassate le une sulle altre, sembravano circondarla, e includere entro il loro inaccessibile seno l'intero universo. Oltre le loro torreggianti pareti (coperte solo da nuvole nebbiose), l'immaginazione, improvvisamente rigettata indietro e vacillante alle proprie concezioni, era impossibilitata a penetrarle. Rocce imponenti e precipizi vertiginosi alla loro base, in cui l'acqua, cadendo da un'altezza incommensurabile, si frangeva impetuosamente contro cupe caverne, simili all'entrata di Pandemonium; rupi alpine, che nelle loro selvagge sporgenze minacciavano rovina allo sventurato che vi si fosse trovato sotto: tale era la scena che, mentre il fulmine blu lampeggiava in terribile e magnifica confusione, colpiva la sua vista. In mezzo a questi orrori spaventosi, a braccia conserte e aria maestosa, posto quasi di fronte a lei, stava il torreggiante Zofloya. A lui la scena appariva congeniale, e Vittoria ammise a se stessa che mai prima d'ora l'aveva visto nel suo proprio ambiente. Gli oggetti comuni sembravano arretrare alla sua presenza, la terra tremare alla fermezza del suo passo; ora solamente la sua innata grandiosità brillava in tutta la sua gloria, aumentando, senza esserne eclissata, la terribile magnificenza della scena. Gli occhi di Vittoria si fissarono involontariamente su di lui; dignità e ineffabile grazia, erano diffuse sulla sua figura intera; per la prima volta provò per lui un'emozione di tenerezza, mista ad ammirazione, e, strana incoerenza, in mezzo ai cupi terrori che le opprimevano il cuore, in mezzo alla notevole sofferenza che la angustiava, provava qualcosa di simile all'orgoglio, riflettendo che un Essere così meraviglioso, così superiore, così bello, dimostrasse tanto interesse per il suo destino.”

Altri brani scelti da “Zofloya” di Charlotte Dacre

(Cap. XVIII)

[…] Infine Vittoria si coricò, e chiuse di nuovo gli occhi. La stanchezza del sonno la opprimeva a un punto tale da privarla completamente di movimento, ma, ciò nonostante, gli occhi involontariamente le si aprirono per metà. Una bruma grigio-argentea riempiva la stanza, diffondendo una specie di crepuscolo; le cortine, ai piedi del letto, si spalancarono, e nello stesso posto si ergeva di nuovo la figura di Zofloya! Con una mano sembrava tenere Berenza, il cui pallido volto sembrava contorto negli spasimi della morte. Il suo petto nudo appariva chiazzato da grandi lividi blu, e i suoi occhi sbarrati fissavano lugubremente l'angosciata Vittoria. Nell'altra mano, il Moro teneva, per le splendide trecce bionde, l'orfana Lilla; la sua forma esile e spettrale sembrava abbigliata da un'ombra traslucida, la sua testa graziosa era abbassata, e su un lato di essa si vedeva una profonda ferita, da cui il sangue era sgorgato giù sulla sua veste eterea. Mentre, ancora incapace di volizione, Vittoria osservava la scena, Berenza e Lilla disparvero, e al loro posto vide le sue proprie sembianze e quelle di Henriquez da una parte e dall'altra del Moro. Ella sembrava allungare le braccia, nelle quali Henriquez si stava gettando, ma ritraendosi d'impeto, Vittoria vide che il suo petto era sfigurato da una spaventosa ferita. Improvvisamente, Berenza e Lilla si riavvicinarono; due ali radiose, che la abbagliarono, spuntarono dalle spalle di Lilla; con un sorriso serafico tese le mani a Berenza e a Henriquez, e innalzandosi insieme a loro da terra, Vittoria non li vide più; il cuore le batteva violentemente, il cervello pulsava, e, cercando di alzarsi, si accorse di avere riacquistato il movimento.

(Cap. XXVI)

[…] Nel frattempo la passione di Vittoria, non avendo più ora, come immaginava, ulteriori ostacoli da superare, raggiunse l'apice della sfrenatezza. – Cercava di attirare l'attenzione di Henriquez con astute blandizie e seduzioni. – Ma vani erano i suoi artifici, perché l'anima di Henriquez era ammaliata dalla semplicità e innocenza della giovane Lilla; ogni altra donna era detestabile al suo sguardo – trovava incomparabili la sua tremula delicatezza, la sua tenera dolcezza e la sua fragile forma di silfide. Avendo quotidianamente sotto gli occhi una tale amabile avvenenza, tutte le altre donne, messe a confronto, apparivano nella mente di Henriquez come esseri di specie diversa. Ma, soprattutto, era Vittoria che vedeva con quasi assoluta avversione; – i suoi tratti marcati sebbene nobili, il suo portamento austero, il suo tono autoritario – la sua audacia, la sua insensibilità, la sua violenza, tutto questo lo colpiva di istintivo orrore; era così all'opposto della mite Lilla che quando, con studiata delicatezza si degnava di farle una carezza, Henriquez quasi tremava per la sua tenera vita, e comparava l'immagine nella sua mente alla candida colomba vezzeggiata dal vorace avvoltoio. 

Alla fine, con infinita riluttanza e amara mortificazione per il suo orgoglio, Vittoria dovette ammettere a se stessa che non solo era indifferente a Henriquez, ma disprezzata e odiata da lui. – A questa amara convinzione fu presa da un capogiro – “Sì, mi detesta,” esclamò in uno sfogo rabbioso – “ma lui dovrà essere, sarà mio – il suo capriccio fanciullesco non gli servirà a nulla; – ah!” Continuò, ammorbidendo i toni concitati – “Getterò me stessa e la mia fortuna nelle sue braccia, – Sacrificherò ancora la mia libertà e gli proporrò di diventare sua moglie.”

In mezzo a queste riflessioni, l'altezzosa Vittoria si rendeva a malapena conto che la causa dell'indifferenza per lei era dovuta all'affetto di Henriquez per Lilla. – Decise quindi di essere subito esplicita – di fare a Henriquez una proposta di matrimonio che  pensava non si sarebbe sognato di rifiutare, e di cogliere la prima occasione per farlo. 

Quella sera stessa, assecondando involontariamente i suoi scopi, Lilla si ritirò presto nelle sue stanze accusando un malessere; e Henriquez, che non sentiva nessun desiderio di rimanere da solo con una donna che suscitava in lui così tanta ripugnanza, si alzò pochi istanti dopo che Lilla aveva lasciato l'appartamento, e inchinandosi da lontano a Vittoria, stava per uscire.

“Rimanete, Henriquez,” esclamò la risoluta Vittoria, alzandosi bruscamente dalla sedia – “Desidero scambiare due parole con voi.”

Henriquez si inchinò, e arrestò i suoi passi.

“Sedetevi – vi supplico.”

“Avete qualcosa di essenziale da comunicarmi, Signora?” domandò Henriquez, incapace di nascondere la sua riluttanza a rimanere con lei, – “o domani andrà egualmente bene?”

“No,” replicò Vittoria con tono enfatico, “vi invito a sedervi, Henriquez.”  

A malincuore Henriquez riprese il suo posto, quando la frenetica donna, incapace di trattenere la sua emozione, si gettò ai suoi piedi, e, afferrandogli la mano –  “Henriquez!” esclamò, “Henriquez, la mia anima vi adora! – guardatemi ai vostri piedi, – vi offro tutto, – tutto ciò che possiedo – la mia mano in matrimonio – concedetemi nient'altro che il vostro amore!”

“Signora,” rispose Henriquez, con studiata calma, liberandosi dalla stretta, – “In quanto moglie di mio fratello avete avuto la mia indulgenza, ma mai la mia stima, – dalla sua MORTE, i miei sentimenti nei vostri confronti hanno assunto una tinta più cupa, – Ora io,” esclamò, dimenticandosi per un momento lo sforzo per conservare una certa freddezza  – “ora io vi odio e disprezzo! – Disgraziata! Indegna e insensibile come siete, aver dimenticato così presto un marito che vi adorava, e doppiamente disgraziata nel confessarmi i vostri empi pensieri. Sapete che la mia anima è irrevocabilmente consacrata a un'altra!”

Vittoria si alzò di scatto, abbandonando la posizione servile. I sentimenti che governavano il suo cuore erano stati irreprimibili; non avrebbe voluto confessare così prematuramente il suo amore, ma la violenza della passione la rendeva troppo vulnerabile! – ora le emozioni suscitate dalla risposta di Henriquez erano egualmente invincibili.

“Miserabile giovane!” esclamò – “Questo è troppo – la vostra offensiva freddezza, i vostri amari rimproveri, li avrei sopportati, – sopportati, orgogliosa come sono, con pazienza! –  ma che voi abbiate osato, senza tremare, ammettere in mia presenza il vostro amore per un'altra” –– 

“Amore!” la interruppe Henriquez con entusiasmo – “Amore! – dite, adorazione, idolatria! – per il cielo la mia Lilla è una gemma troppo brillante per diffondere i suoi puri raggi sotto questo tetto contaminato,  – oh! Disgraziata Vittoria,” continuò, con un sorriso amaro, “e VOI cercate di parlare d'amore all'innamorato di LILLA?” ––

Quali parole possono descrivere i sentimenti di Vittoria? La collera più selvaggia si impadronì della sua mente, mutandosi quasi in immediata pazzia! – Tuttavia vendetta, assetata vendetta, era la sensazione predominante della sua anima, divorando tutte le altre! – con uno sforzo e un sangue freddo a malapena credibili, frenò il tumulto della passione ed evitò di recriminare su Henriquez. – Cosa! Cacciarlo dal castello e perdere così il potere di sacrificare l'aborrita Lilla alla sua vendetta, la pigmea, lo sgorbio insignificante, che aveva giudicato indegna di un pensiero! Perdere anche, per sempre, la possibilità di ammorbidire, (forse anche mitigare) la rigida insensibilità di Henriquez? – No –  il sacrificio alla rabbia frenetica sarebbe stato troppo grande! – 

La decisione era pronta, e istantanea. – Coprendosi il viso con le mani, si lasciò cadere su una sedia, e singhiozzò ad alta voce!

Una reazione così diversa da ciò che aveva imparato ad aspettarsi da Vittoria, conoscendo la violenza della sua natura, sorprese e commosse ad un tempo Henriquez. –  Si pentì presto dell'asprezza con cui aveva parlato, e nella sua mente si impose la riflessione che la donna, la cui unica colpa nei suoi confronti era l'amore che provava per lui, meritava almeno un comportamento più moderato; esitò un istante – la bontà del suo cuore prevalse, e si avvicinò all'astuta Vittoria. 

“Vorrei porgerle, Signora,” disse con voce gentile, (prendendole la mano) – le scuse per il mio ardore – non intendevo, – vi assicuro, non intendevo essere severo, – vorreste dunque,” aggiunse, “perdonarmi, e accettare questa ammissione del mio errore?”

“Oh, Henriquez!” replicò Vittoria, raddoppiando le lacrime, “Sono l'unica ad avere colpa; in questo momento sento dentro di me i rimproveri dovuti alla mia condotta – Le parole che mi sono lasciata sfuggire dalle labbra, ora mi infliggono vergogna e orrore – posso a malapena render conto dell'impulso che mi ha costretta a pronunciarle! – Nobile e generoso come siete, dimenticate, se potete, la frenesia del momento, e non – non,” proseguì, gettandosi ancora ai suoi piedi, “disprezzatemi più di quanto sento che dovreste.”

Henriquez, infinitamente commosso, sollevò fra le sue braccia colei che credeva fosse davvero la confusa e pentita Vittoria; la supplicò di ricomporsi, e di perdonargli il dolore che le aveva arrecato.

“Ah, tutto ciò che chiedo è il VOSTRO perdono,” disse Vittoria, “e la vostra promessa che non rifletterete su ciò che è accaduto questa notte, a mio detrimento. Oh, Henriquez! Vi dimostrerò che se Vittoria cede per un istante a un'imperdonabile debolezza, sa poi come riprendere di nuovo il dominio di sé.”

Henriquez la assicurò che avrebbe cancellato dalla mente ogni impressione sfavorevole nei suoi confronti, e aggiunse che, dall'immediato risveglio di nobili sentimenti nel suo cuore e dalla franchezza con la quale si era accusata, aveva più che espiato la parte imperfetta della sua condotta.

Vittoria, fingendo di essere soddisfatta, e grata per queste affermazioni, prese, con modestia e umiltà ben simulate, la mano di Henriquez, e la portò alle labbra. Quindi, voltandosi, come incapace di reprimere l'emozione, uscì precipitosamente dalla stanza.

(Cap. XXVII)

Raggiungendo il suo appartamento, la miserabile, perché colpevole, Vittoria si gettò sul letto con tormento indescrivibile. Le passioni più furiose, trattenute a forza alla presenza di Henriquez, ora le scuotevano il petto e ora trovavano sfogo in terribili imprecazioni. Malediva se stessa, l'ora della sua nascita, e la madre che l'aveva partorita; l'orgoglio oltraggiato le gonfiava il cuore fino a farlo scoppiare, e la sua furia insaziabile esigeva ad alta voce vendetta, sangue, il sangue dell'innocente Lilla.

“Oh, potessi subito distruggere la prediletta,” esclamò selvaggiamente, alzandosi bruscamente dal letto, e afferrando un pugnale che teneva nascosto nel seno, “Potessi, dico, distruggere quella piccola disgraziata, fulcro d'ogni attenzione, che osa per questo richiamare distruzione sul suo capo.”

“Non ancora, Vittoria,” disse una voce melodiosa; di fronte a lei si ergeva il Moro, che afferrò gentilmente il suo braccio alzato, e sorrise.

“Come sei venuto qui, Zofloya?” ella esclamò “la tua voce, non il tuo sorriso né le tue promesse, hanno il potere di calmarmi ora”.

“Bellissima Vittoria,” egli rispose, “sono venuto per consigliare e per placare.”

“Non puoi fare nessuna delle due cose, Moro, perché Henriquez mi odia, – puoi tu cambiare i genuini sentimenti del cuore? – Puoi tramutare l'odio in amore?”

“Posso fare molto, Vittoria, se avrete fiducia in me.”

“Ma tu non sei uno stregone!”

“È possibile avere una conoscenza in medicina senza tuttavia essere un medico.”

“Oh, sì, hai una conoscenza infinita, Zofloya – ogni giorno lo dimostra in modo inoppugnabile – ma non puoi – no, non puoi infondere magicamente amore per ME nel cuore che ama un'altra.”

“Non immediatamente, quando l'altra si intromette, bella Vittoria.”

“Puoi aiutarmi? – Dimmelo subito, puoi aiutarmi, Zofloya?”

“Adorabile Vittoria!” 

I toni argentini del Moro penetrarono a fondo nel cuore di Vittoria; il suo accento astuto era mellifluamente tenero; lacrime, spontanee lacrime, le sgorgarono dagli occhi, e involontariamente si gettò fra le sue braccia, che si aprirono per riceverla, e pianse sul suo petto. Zofloya la stringeva dolcemente fra le braccia. 

L'illusione di Vittoria durò solo per qualche momento: si sciolse in fretta dall'abbraccio, e disse esitante –

“Che strano, Zofloya! – Non so perché, ma tu mi plachi sempre, e mi attrai irresistibilmente. – Io credo, davvero” aggiunse, con un fervido sorriso, “ che tu sia veramente uno stregone!”

Il Moro ricambiò il sorriso, e chinò, come per riconoscenza, la sua forma leggiadra; – ogni movimento di questo essere singolare sprigionava fascino, e in nulla era così manifesto come nel potere che soggiogava l'orgoglioso cuore di Vittoria.  

“Incomparabile e adorabile padrona,” esclamò, cadendo su un ginocchio e posandosi la mano sul cuore, “Degnatevi di informare il più umile dei vostri schiavi in che modo possa soddisfare le vostre richieste. E ciò detto, abbiate piena fiducia nel suo adempimento.”

“Alzati, allora, Zofloya,” esclamò Vittoria, lusingata e deliziata da una condiscendenza di recente alquanto insolita nel Moro – “Alzati e dimmi – Ah! Non indovini, Zofloya? – Lilla – Lilla!” –

“L'orfana Lilla si frappone fra voi e il vostro amore, – non è così?”

“Sì, sì.”

“E voi vorreste che lei––”

“Morisse!” esclamò Vittoria, ricadendo nella frenesia.

“Calma, calma,” disse il Moro in tono gentile. – “L'orfana Lilla non deve morire, Signora.”

“No!” – 

“No – perché susciterebbe subito dei sospetti, e quindi addio a tutte le vostre speranze – dimenticate, bella Vittoria, che già...”

“Vero, vero,” replicò in fretta Vittoria, “ma allora che si fa?”

“Dobbiamo evitarlo.”

“Oh, che follia! – si deve fare, ad ogni costo – senza il tuo aiuto, allora.”

Zofloya si rabbuiò. – “Sia così allora, Signora,” esclamò, e si diresse con dignità verso la porta.

“Oh rimani, essere incoerente!” esclamò Vittoria, “E perdona la mia disperazione.”

“Disperazione! – disperazione quando IO vi ho promesso speranza – dovete aver fiducia.”

“Oh, sii subito esplicito, e dimmi” – 

“Bene, allora, Lilla non deve morire; ma sarà a vostra disposizione, e voi potrete infliggerle tali sofferenze che –”

“Tali tormenti!” lo interruppe Vittoria, con demoniaci occhi scintillanti – “Sì, tali tormenti che mi ripagheranno di quelli che ha inflitto a me! – Ma quando, oh quando, Zofloya, accadrà?”

“All'alba di domani trovatevi nella foresta; procedete attraverso lo stretto crepaccio alla vostra sinistra, salite la roccia ripida che domina la foresta, facendola sembrare una valletta insignificante; e quando avrete raggiunto la cima rimanete lì, e attendete la mia venuta.”

“Sarò puntuale – ma Lilla.”

“Sarà con me – non chiedetemi altro, Vittoria.”

Gioia e abominevole trionfo riempivano il petto di Vittoria; era bene istruita ora, e poteva ben decifrare le ambigue risposte del Moro.

“Zofloya,” esclamò con voce esultante, “eccellente Zofloya; dimmi, in che modo posso ricompensarti?” E prendendo ardentemente un brillante di immenso valore dal suo dito, aggiunse, “accettalo, e portalo per amor mio, ma portalo nascosto sul tuo cuore.”

Con aria orgogliosa e austera, Zofloya respinse con la mano il dono offerto.

“Tenetevi il diamante, Signora; le ricchezze del mondo non hanno alcun valore per me – ho più alte mire.”

“E a cosa mirate, allora, Zofloya?”

“Alla VOSTRA amicizia – alla VOSTRA fiducia – alla VOSTRA fede – a VOI STESSA, Signora!”

Vittoria sorrise a ciò che pensava essere pura galanteria; il Moro ricambiò il sorriso, ma con un contegno diverso, e inchinandosi rispettosamente mentre ella si dirigeva verso la porta, disse, “Addio, Signora, per adesso; attendete il primo raggio del mattino.”

“Il sonno non visiterà i miei occhi, fisserò lo sguardo sul firmamento, e all'ultimo dileguarsi delle stelle, uscirò dalla mia stanza.” Il Moro salutò gentilmente con la mano, e si ritirò. Non appena uscito, Vittoria spense la lampada, affinché nessuna luce artificiale potesse impedirle di osservare il primo avvicinarsi dell'alba. Poi aprendo la finestra, si sedette lì accanto, e fissò lo sguardo con fiera sfrontatezza sulla serena maestosità dei cieli senza nubi. Pazientemente sopportò la mancanza di sonno, pazientemente attese, come l'assassino assetato di sangue che, reso invulnerabile ai mali esterni dalla vigorosa ferocia della sua mente, si nasconda in agguato nella notte solitaria in attesa del passo inconsapevole della vittima predestinata; così vegliò, così attese, pregustando alternativamente il piacere della vendetta, e scene di futura beatitudine con l'amato Henriquez. Costretta infine, con amara riluttanza, a considerare la fiorente Lilla come il potente scudo presuntuosamente opposto alle sue fascinazioni, si decise, mentre orgoglio e odio rinvigorivano di nuovo il suo cuore,  ad infliggere alla ragazza innocente tutto ciò che malizia e vendetta potevano inventare. […]

(Cap. XXVII - seguito)

Vittoria sedeva ancora davanti alla finestra, immersa in cupe meditazioni, quando l'orizzonte incipiente cominciò a mostrare deboli raggi di luce fra nubi oscurate, e a dissolvere lentamente le brume azzurre delle acque distanti. Le stelle si affievolivano, e una brezza più fresca soffiava dall'est, quando, intenta al male, uscì furtivamente dalla stanza. Ora con cuore palpitante raggiunse la corte, e penetrò nella foresta, procedendo a passo spedito verso il sentiero descritto da Zofloya; la profonda oscurità rendeva quasi inaccessibili la via solitaria e il crepaccio sulla sinistra, al quale egli aveva alluso; Vittoria tuttavia non si scoraggiò, e mentre avanzava, un'oscurità più profonda la informò che si stava avvicinando alla roccia minacciosa, che proiettava la sua ombra scura intorno. – Sebbene mai prima d'ora si fosse allontanata così tanto alla luce del giorno, credeva implicitamente alle indicazioni di Zofloya, e si preparò ad ascendere l'erta rocciosa. Il mattino avanzava gradualmente, ma gli oggetti circostanti erano ancora resi indistinti da una bruma illusoria: – Vittoria procedette per un considerevole tratto di strada su per la roccia, quando l'alto solenne ruggito della schiumante cateratta, precipitando da una fessura dalla parte opposta nel precipizio al disotto, proruppe al suo orecchio. – Avanzò tuttavia intrepida, finché raggiunse la cima, mentre più alto e assordante diventava il suono irato delle acque. Qui decise di fermarsi per un po'; la luce fioca non permetteva ancora di distinguere bene il prolungarsi delle rocce; montagne di nebbia sembravano innalzarsi l'una sull'altra, finché l'ultima cresta allungava indistintamente il gigantesco profilo sul lontano orizzonte, impedendo ogni ulteriore veduta. Le stelle si erano tutte ritirate, come indietreggiando sconcertate alla vista di così tanta colpa, ma nubi minacciose oscuravano la facciata del cielo, il vento gemeva sordamente in mezzo agli alberi della foresta, e sebbene la solitaria solenne grandiosità della scena avrebbe ispirato profondo timore e devozione nel seno della virtù, attirando l'anima verso la contemplazione interiore, tuttavia era triste e sgradita alla mente malvagia, che, portando entro di sé una notte eterna, si sente turbata e sgomenta nell'oscurità della natura. Tale era la situazione di Vittoria – irrequieta e impaziente per la luce crescente; – la luce crescente venne, ella si alzò dal posto dov'era seduta e si guardò attentamente attorno: da una parte, la foresta ancora avvolta nell'ombra, simile, come aveva detto Zofloya, a una vallata insignificante, appariva lontana sotto i suoi piedi, mentre, dall'altra parte, un tratto azzurro scuro di nebbia avvertiva in lontananza la presenza dell'oceano circondato dal cielo, che in obliqua ascesa sembrava fondersi con la volta celeste. Essendo la roccia su cui si trovava un punto elevato, aveva colto la prima luce del mattino, e Vittoria si rivelò pienamente a se stessa; gli oggetti al disotto erano ancora parzialmente avvolti nell'oscurità. Sforzò ardentemente gli occhi ansiosi, per cogliere il primo barlume di ciò che solo poteva suscitare il suo interesse. Ogni istante che passava, appariva alla sua anima sanguinaria come tempo prezioso rubato alla sua vendetta; ma alla fine, per sua gioia infinita, l'evento così ardentemente desiderato allietò la sua vista.  Avanzando a gran passi lungo il sentiero tortuoso che ella aveva recentemente percorso, vide la gigantesca figura del Moro, gigantesca anche dai punti in cui l'altezza e la distanza rimpicciolivano le cose.  – Sospesa esanime sulla sua spalla, stretta dalle sue braccia nerborute, il Moro portava la un tempo fiorente Lilla – fiorente ora non più, ma più pallida di una vizza rosa bianca! – Si avvicinava rapidamente, e incurante del fardello, balzava su per le scabre rocce come un lampo. – Vittoria contemplava, con gioiosa esultanza, l'orfana indifesa e votata alla disgrazia: – la sua fragile forma giaceva inerte, le sue nivee braccia, nude fin quasi alla spalla (poiché solo una sottile camicia da notte la copriva), pendevano giù sulla schiena del Moro, i piedi e le gambe simili ad alabastro scolpito, erano parimenti nudi, la languida testa pendeva insensibile, mentre le lunghe trecce bionde, sfuggite dalla retina che le aveva trattenute, ora adombravano in parte la sua guancia cinerea, ora ondeggiavano alla brezza in disordinata esuberanza. “La gettiamo giù dal precipizio?” esclamò Vittoria, mentre il suo sguardo feroce e geloso percorreva le grazie tradite della sua casta vittima. “No!” disse Zofloya, “seguimi.” Si lanciò giù per uno scabro sentiero dalla parte opposta della roccia, e, sebbene non con eguale rapidità, Vittoria seguì i suoi passi. [...]

La prima volta che mi sono imbattuto nel nome di Charlotte Dacre è stato leggendo “L'orrore soprannaturale nella letteratura” di Lovecraft, il quale, nella sezione riguardante il romanzo gotico, cita la Dacre solo di passaggio, considerando il suo romanzo mediocre. Da quella volta però mi è sempre rimasta impressa la parola “Zofloya”, che non sapevo a cosa si riferisse. Nome di persona? Di luogo? O cos'altro? Avevo insomma molta curiosità riguardo a questo romanzo misterioso, ma non riuscivo a trovare altri riferimenti da nessuna parte. Erano anni in cui ancora non c'era Internet. Il fatto è che non esistono in italiano dei libri specifici che analizzino il romanzo gotico in maniera approfondita ed esauriente. Occorre quanto meno conoscere una lingua straniera, soprattutto l'inglese. Infatti con il passare degli anni ho studiato l'inglese e ho cominciato a leggere libri in lingua originale, ed è così che sono riuscito ad approfondire meglio questi argomenti. 

Il primo tentativo serio di scrivere una storia del romanzo gotico si deve a una studiosa inglese, Edith Birkhead, che nel 1921 scrisse “The Tale of Terror: A Study of the Gothic Romance”.


È uno studio pionieristico, contiene qualche inesattezza, però nel complesso si può considerare un'ottima introduzione alla letteratura gotica e del terrore. È stato digitalizzato e lo puoi leggere e/o scaricare gratuitamente sul sito Archive .org. 

Riguardo Charlotte Dacre, purtroppo, viene citata in questo libro solo nel capitolo che riguarda il romanzo gotico di P.B. Shelley, “Zastrozzi”, che fu pesantemente influenzato da “Zofloya”. Non si accenna minimamente a una seppur breve biografia e nemmeno agli altri romanzi scritti dalla Dacre. Viene evidenziato solamente il fatto che “Zofloya” sia servito come elemento di ispirazione per il più famoso poeta inglese.

 Riguardo a “The Recess” di Sophia Lee, viene considerato un romannzo di 'languido interesse' che ebbe però il merito di avere ispirato la Radcliffe per i suoi futuri romanzi. 

Ovviamente il libro della Birkhead non è mai stato tradotto in italiano. Nella nostra lingua esiste comunque un libro che affronta gli stessi argomenti, e cioè “Storia della letteratura del terrore. Il 'Gotico' dal Settecento ad oggi” di David Punter (Editori Riuniti, 1997), Anche in questo libro, però, Charlotte Dacre è citata solo di passaggio, come autrice di “Zofloya”, senza ulteriori approfondimenti. 

Il primo autore che ha scritto finalmente uno studio su Charlotte Dacre degno di questo nome è stato Montague Summers nella sua raccolta di saggi “Essays in petto” del 1928. Il saggio che la riguarda si intitola “Byron's Lovely Rosa”. Charlotte Dacre infatti amava gli pseudonimi e il suo preferito era Rosa Matilda.  (Matilda era un riferimento alla diavolessa tentatrice del "Monaco" di Lewis, romanzo che la Dacre amava tantissimo. Tanto per dire, il finale di "Zofloya" ricorda molto quello del "Monaco". Inoltre il primo romanzo della Dacre, “The Confessions of the nun of St.Omer” è dedicato con ammirazione a M.G. Lewis). 

Il riferimento a Byron si spiega col fatto che Byron la cita in una sua poesia. Il pregio di questo saggio di Summers è che vengono analizzati anche gli altri romanzi della Dacre, come “The Libertine” e “The Passions”. Anche questo libro di Montague Summers è stato digitalizzato e lo puoi trovare sul sito babel.hathitrust .org. Se non riesci a trovare i libri digitalizzati che ti ho citato fammelo sapere che ti metto i link qui sotto. Puoi utilizzare senza problemi la mia traduzione del brano di “Zofloya”. Non ho un blog.

Nota di Lunaria: Cito anche Clara Reeve con "Il vecchio barone inglese"  https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2019/07/introduzione-e-commento-il-vecchio.html e Anne Crawford con "Un mistero della campagna romana" https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2017/06/anne-crawford-commento-un-mistero-della.html

Volevo solo aggiungere un'ultima cosa su Charlotte Dacre. Scrisse anche un libro di poesie, “Hours of Solitude”, pubblicato nel 1805, un anno prima di “Zofloya”. Anche questa  raccolta di poesie la puoi trovare digitalizzata in rete. Non tutte le poesie sono a tema orrorifico o cimiteriale. 

Fra queste ultime le più notevoli sono “The skeleton Priest”, “Julia's Murder”, “Death and the Lady”, “Logan's Grave”, “The Dying Lover”, “Fog”, “The Giant's Burial Ground” e “Grimalkin's Ghost”. 

Fra queste ho provato a tradurne una, “The Skeleton Priest”, giusto per darti un'idea del potere evocativo della sua poesia. 

LO SCHELETRO SACERDOTE

ovvero

IL MATRIMONIO DELLA MORTE

Acuti nelle cupe caverne fischiavano i venti,

Spaurito, l'usignolo affievoliva il suo canto,

In oscuri vapori la luna si celava;

Quando al rintocco di mezzanotte, dalla sua camera,

Audace e intrepida Irene discese,

Poiché Amore il suo cuore ispirava. 


Fluttuava il bianco velo mentr'ella in avanti fuggiva,

Della tempesta incurante, sebben più violenta soffiava,

Né gelata dal pungentissimo freddo;

Della passione il fuoco che le bruciava in seno,

Ogni altra emozione sdegnava e reprimeva

Poiché immenso è il potere dell'Amore.


Or d'improvviso un lampo che i cieli divise,

Colpendo la solinga fanciulla di timore e sorpresa,

Illuminò il deserto intorno;

L'orlo di un precipizio si trovò accanto,

E mentre in muto orrore si allontanava da esso 

“Attenta!” gridò un terribile suono.


“CHI di stare attenta mi avverte?” esclamò tremante;

“Dimmi, un guardiano sei che non può esser nominato?

O soltanto fu la mia immaginazione?”

Ancora proseguiva, determinata a osare,

Quando lentamente la voce di nuovo: “Oh, attenta!” esclamò

E in gemito agghiacciante si trasformò.


“Quale orrore questa notte su Irene si avventerà?

Orlando, amore mio, mai sarò la tua sposa!

Questa è la notte del mio destino.

Oh, spirito delle tenebre! ovunque tu sia,

Solo per QUESTA notte chiedo che la mia felicità sia appagata;

Lascia che il RESTO dall'oscurità sia adombrato”.


Una volta ancora cercò di allontanarsi;

La voce non udiva, e il cuore le si alleggerì

Non più dal terrore soggiogato;

Ma aveva appena fatto tre passi sulla strada

Quando una dama, dal vestito più bello del giorno,

D'improvviso le sue orme inseguiva.


“Oh, non temere, bella fanciulla” esclamò,

“Ma di camminarti accanto concedimi il privilegio;

La mia strada e la tua sono la stessa:

LA SPOSA DI ORLANDO HAI FRETTA DI DIVENTARE,

MA QUELLA E' UN'ORA CHE MAI NON VEDRAI,

E malinconico è vagare da sola”.


“Oh profetessa di sventura!” disse Irene, “taci!”

E verso la straniera si voltò con sguardi di disperazione,

Ma arretrò orrificata dalla vista:

Un teschio sgretolato nella sua mano si mostrava,

Mentre una lampada il rosso sangue sul suo petto palesava,

E la terra dal suo lume era variegata. 


“Trasalisci, adorabile fanciulla! Che follia è la paura!

E cosa in questo teschio può così orrendo apparire?

Potresti così presto somigliargli;

A meno che tu non acconsenti ad esser da me guidata,

Tornatene a casa, vivi contenta e libera,

O il tuo viaggio POTREBBE NELLA TOMBA TERMINARE!”


“No, mai, finché vita in questo petto regnerà,

Tratterò il mio tenero amore con sì crudele disdegno,

O d'esser mio marito gl'impedirò:

Questa notte lo sposerò, a dispetto del fato,

E con lui fuggirò, pure, ovunque egli comandi,

A prezzo di qualsiasi dolore”.


Un profondo sospiro emise la straniera, come in autunno il vento;

Volse il pallido volto, così triste e rassegnato,

Su Irene, e rabbrividendo disse:

“ORLANDO E' SPOSATO. Questa notte, per essere tuo,

Ha commesso di fronte al Cielo e alla Natura un delitto

Che con la vendetta la sua anima dev'essere ripagata.


“Nondimeno ancor sei decisa a perseguire il tuo tenero vizio

Invano, poiché Orlando al tuo sguardo è celato,

E vaga disperatamente solo:

Il suo crimine è il suo tormento; dai demoni posseduto,

Cupamente vaga, privato della quiete,

In un deserto da montagne ricoperto.


“Non andare incontro alla perdizione, quindi, prendi la via di casa,

Sola lasciami proseguire, sola lasciami errare,

O del tuo crimine temi la ricompensa;

Evita l'unione DAL SANGUE CEMENTATA;

Un VINCOLO di distruzione per distoglierti dal bene;

Al patto sanguinario rinuncia.


“RITORNA, e il passato solo una visione ti sembrerà,

L'indomani solo un sogno ti parrà,

Dimenticato nelle glorie del giorno;

PROCEDI, e prima che una breve ora sia passata,

Di nuovo, con tuo sommo orrore, mi vedrai,

Il tuo SANGUE COME PEGNO DA PAGARE.”


“Il tuo nome!” esclamò debolmente Irene -

Scomparsa era la straniera; nessuna traccia rimaneva;

Il silenzio della MORTE era intorno;

Calato era il vento, la luna ora appariva,

Il vago splendore l'usignolo rallegrava,

E di nuovo la sua armonia risonava.


“Chi dimora in questa foresta nell'oscurità e nella disperazione?”

Irene esclamò, “Quale orrore l'aria impregna?

I demoni si sono riuniti per sollazzo?

Invidiano quei rapimenti che non possono condividere,

L'estasi d'essere d'Orlando la sposa,

E questa è la loro corte infame.


“Si beffano dei miei sentimenti, ridono del mio dolore,

Tutti gli inganni tentano invano -

Orlando, SARO' COMUNQUE TUA!”

Quindi in avanti proseguì. Ai piedi della collina,

Orlando con impazienza l'aspettava,

E le loro braccia in dolce estasi si intrecciarono.


Ma più fredde del ghiaccio erano le braccia d'Orlando,

Mentre in esse Irene sembrava avvolgere; 

Il suo volto era al suo sguardo celato,

Cupa pareva la sua voce, lugubremente gemeva,

Un gelido sconforto s'insinuò nella sposa,

Un sospetto che indagar non osava.


“Orlando, quali demoni sul mio cammino tendevano agguati,

Per ostacolare la tua Irene da tutto ciò che amava,

E dimmi: già eri sposato?”

“Non più, bella Irene! Giusto è il momento!

La tua presenza stasera non mi aspettavo affatto:

Si farà IL NOSTRO MATRIMONIO rapidamente.


“Dietro la verde collina, vicino alla spiaggia,

Un vascello v'è, col quale al nostro castello giungeremo,

Ora tetro, e inquieto per TE. 

Vieni, in fetta andiamocene - il tempo fugge,

Poiché fin qui ti sei avventurata rifiutare non devi”

E Irene trasse con sé.


Ora alla spiaggia si avvicinavano, guarda! un vascello v'era;

Di nebbia parevano le gomene, di chiaro vapore le vele;

Nessuna creatura era lì per guidarlo;

Orlando cura si prese della sposa spaurita,

Come una freccia sembrava le onde solcare,

Più rapido della fantasia fuggiva.


Or giunto alla sponda opposta Orlando sbarcò 

Dal vascello d'ombre la fanciulla dal cuore ghiacciato,

Quand'esso all'istante disparve alla vista:

La condusse a forza per un roccioso pendio,

D'Irene i piedi e il seno eran crudelmente lacerati,

E ogni orma di sangue era macchiata.


Entrarono in una caverna; lì v'era un altare;

Un sacerdote lentamente si appresta ad unirli;

Le loro mani insieme sono intrecciate;

Quando l'abito GETTANDO, guarda! quale orrore sotto;

Lo SCHELETRO SACERDOTE altro non era che la MORTE,

Che la fanciulla in matrimonio aveva unito.


“Or sei sposata, ma NON AD ORLANDO - bada!

Poiché, fanciulla, imprudente e audace era il tuo amore - 

Or sei sposata, ma alla MIA dimora,

Non più ad Orlando – dissolto è l'incantesimo.

La tua nuziale letizia in funebre rintocco si muta,

Poiché DELLA TOMBA SEI LA MOGLIE.”


Irene, disperata, rammentò la foresta -

Di fronte a lei or lo spettro minaccioso stava -

“La sposa d'Orlando ero IO!

La mia anima mandò errante, affinché alla tua beltà giungessi,

Ti avvertii, ahimé! Ma ti avvertii invano,

Poiché TU determinata fosti a morire.”


Ahimé! Non più la triste Irene può fuggire;

Della morte il torpore lentamente il suo cuore avvolgeva,

E, paralizzati, i suoi nervi si contraevano;

Di nuovo lo SCHELETRO SACERDOTE a loro si avvicinò,

Della vittima si impadronì - vani erano i suoi sforzi -

Dal mondo, guarda! insieme sprofondano.


LA TOMBA DI LOGAN

Solitaria nel deserto si ergeva la sua quieta tomba;

nessun amico in pena a mane o a sera vi passava accanto;

ma quando un compassionevole raggio di luna l'oscurità cacciava,

innanzi veniva il suo triste spirito, e lì indugiava.


NEBBIA

Brumoso il suo volto, e triste da vedere;

parevano i suoi occhi vaghe stelle lucenti,

e abiti screziati avvolgevano la sua forma,

come spire di fumo azzurro nello splendore del chiar di luna.

Un cerchio indistinto in testa portava,

a quello simile che talvolta la luna circonda;

in mano una caliginosa bacchetta teneva,

le ombre dalla terra scaturite evocando.

Per diletto nel primo mattino d'inverno,

nelle gialle vesti la brezza ricolma domina;

finché, Re del giorno, sebben delle sue glorie evirato,

il pieno, rosso sole ad allontanarsi lo forza.

Raramente in tetra palude o lago lo si scorge

d'estate, tranne quando la fosca sera si avvicina;

indi l'ombroso dirupo raggiunge della montagna

o fonde, nella lontananza, l'oceano con il cielo.


IL CIMITERO DEL GIGANTE

Nella vastità incommensurabile, l'occhio

coniche montagne vedeva assottigliarsi verso il cielo,

e caverne in mezzo, oscure come l'Acheronte.

Vasti abissi come tombe da poco dischiuse,

mostrano sul ciglio alla pallida luce della luna

enormi teschi, sol di recente entro la terra occultati;

e spettri giganteschi incedere maestosi sulla radura,

come mobili piramidi d'Egitto, raminghi.

Il Genio custode era in mesta postura reclino:

i suoi assordanti sospiri parevano cupe raffiche di vento,

la sua sovrumana statura, su un alto cumulo di ossa,

giaceva distesa; i suoi profondi gemiti echeggianti

in lontananza tuonavano sulla landa terrificante,

o il marinaio avvisavano della temuta tempesta in arrivo.

Le sue lacrime, sfere lucenti, fondendosi mentre cadevano

in un fiume, ai suoi piedi s'accrescevano;

e per il deserto scorrendo con debole strepito,

una strana melodia fan sempre lì risuonare.


L'ESSERE MALVAGIO

Oh! Tu, il cui respiro l'aria dolce avvelena,

con la malvagità nel cuore e la disperazione nella mente;

la cui lingua nefasta la miglior fama può danneggiare,

i cui misfatti d'orrore rifuggono l'occhio del giorno.

Come puoi tu, demonio, sulla terra dimorare?

Il tuo spirito perturbato sorse dall'inferno?

O da uno scabro scoglio dalla tempesta lacerato?

Poiché tu mai fosti da donna partorito!

Guardatelo in volto – vergogna mai lo fa arrossire;

rosso delitto siede in trono sulla fronte;

mentre in agguato nel suo feroce occhio demoniaco,

frode, e le più vili passioni, lampeggiano torve.


SIMILITUDINE

Intorno alla candela vola la piccola falena,

mai desiste finché non ha bruciate le ali;

così la donna, dalle lusinghe dell'uomo abbagliata,

nella propria rovina è precipitata.


Nota di Lunaria: un'altra poetessa che consiglio è Emily Brontë: in molte delle sue poesie i temi centrali sono la notte, la malinconia, la brughiera, la Luna, le sofferenze d'amore. https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2020/06/le-poesie-piu-belle-delle-sorelle_8.html

Approfondimento: le Scrittrici della Narrativa Horror: la scrittura gotica e horror al femminile tra '800 e primi del '900 https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2017/06/le-scrittrici-della-narrativa-horror-la.html https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2020/09/labbazia-di-crighton-di-mary-elizabeth.html

Un'Autrice nostra contemporanea: https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2020/04/storie-di-vampiri.html

Altri link: https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2018/01/la-fanciulla-perseguitata-nei-romanzi.html https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2017/06/elementi-gotici-nella-letteratura-del_19.html https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2017/06/elementi-gotici-nella-letteratura-del_9.html https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2017/06/elementi-gotici-nella-letteratura-del.html https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2017/05/introduzione-al-castello-di-otranto-di.html

Qui trovate un'altra Autrice, sempre trascritta da Andrea: https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2021/01/renee-vivien.html

Link a fonti esterne, suggeriti da Andrea:

Cominciando dal primo studio serio sul romanzo gotico “The Tale of Terror: a Study of the Gothic Romance”, scritto da Edith Birkhead nel 1921, si trova qui: https://archive.org/details/cu31924027195183 Riguardo al massimo studioso del secolo scorso del romanzo gotico, cioè Montague Summers, in rete si può trovare la sua monumentale “Gothic Bibliography”, un elenco in ordine alfabetico di centinaia di autori e autrici che scrissero romanzi gotici, più un indice interminabile di titoli. Un libro fondamentale per chi studia questo argomento e per ogni appassionato che si rispetti. Un lavoro immane che è rimasto ancora ineguagliato. Lo si trova qui: https://ia801302.us.archive.org/6/items/gothicbibliograp00summ/gothicbibliograp00summ.pdf Per quanto riguarda il saggio che Montague Summers dedicò a Charlotte Dacre, “Byron's Lovely Rosa”, lo si trova all'interno di “Essays in Petto”, cioè qui: https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=mdp.39015049817029&view=1up&seq=73 Di Charlotte Dacre in rete si trova il suo libro di poesie, “Hours of solitude”, in due volumi. Primo volume: https://quod.lib.umich.edu/b/bwrp/DacrCHours1?rgn=main;view=fulltext Secondo volume: https://quod.lib.umich.edu/b/bwrp/DacrCHours2?rgn=main;view=fulltext Il suo capolavoro, “Zofloya” si trova in tre volumi. Primo volume: https://books.google.it/books?id=m8gNAAAAQAAJ&printsec=frontcover&hl=it&source=gbs_ge_summary_r&cad=0#v=onepage&q&f=false Secondo volume: https://books.google.it/books?id=m8gNAAAAQAAJ&printsec=frontcover&hl=it&source=gbs_ge_summary_r&cad=0#v=onepage&q&f=false Terzo volume: https://books.google.it/books?id=faZBAQAAMAAJ&printsec=frontcover&hl=it&source=gbs_ge_summary_r&cad=0#v=onepage&q&f=false Il suo romanzo successivo, “The Libertine”, si trova tutto intero qui: https://archive.org/details/ZofloyatheMoor/The%20Libertine/page/n1/mode/2up Infine, una piccola curiosità. La sorella di Charlotte Dacre, Sophia King, era anche lei una letterata e scrisse diversi romanzi, fra i quali il più vicino alle atmosfere gotiche è senz'altro “The Fatal Secret, or Unknown Warrior”. Lo si trova qui: https://books.google.it/books?id=GVNpAAAAcAAJ&printsec=frontcover&dq=sophia+king+the+unknown+warrior&hl=it&sa=X&ved=2ahUKEwiAw7e91K_sAhUIC-wKHW50BVgQ6AEwAXoECAEQAg#v=onepage&q&f=false  

Infine: in alcuni romanzi Rosa Storici ambientati nell'Ottocento, alcune autrici si sono divertite a citare Ann Radcliffe oppure a riprendere le ambientazioni tipiche dei romanzi gotici di quel periodo. Suggerisco di leggere questi romanzi:



Dall'Illuminismo al Preromanticismo

Info tratte da

Gli ultimi trent'anni del Settecento letterario inglese rappresentarono l'ultima fase, quella decisiva, del lungo periodo di transizione che, maturo nel fertile humus del secolo dei lumi, andò a sfociare nel grande alveo dell'epoca romantica.

Come tali, costituirono dunque il momento scatenante di un processo culturale che investì tutti gli aspetti del mondo inglese e che si colloca nel quadro sociale contraddistinto dall'affermazione della borghesia mercantile.

Illuminismo, sentimentalismo, classicismo, furono le grandi componenti del secolo di Johnson, di Richardson e di Pope. Secolo equilibrato e fervido di ingegni ma estremamente povero di immaginazione: vigore intellettuale, ossequio alle norme di una radicata moralità, brillante esercizio artistico di fine cesellatura formale, come ogni altra manifestazione del pensiero, si inscrissero in un contesto culturale all'insegna del razionalismo imperante. Tutto fu razionale nel Secolo dei Lumi, tutto corse sul rettifilo di una logica irreprensibile che però, a lungo andare, diventò fine a se stessa, s'impose come un atteggiamento, una presunzione, una vanità, un'espressione di potenza del lucido raziocinio sulla spontaneità, un'autocompiacenza, un diktat anche, nel campo della creazione artistica.

Non dobbiamo dimenticare che l'Illuminismo fu una grande tappa del pensiero e dell'arte, quella che segnò l'avvio della democrazia moderna e di nuovi indirizzi alla speculazione filosofica e alla ricerca scientifica; ma non dev'essere neppure trascurato il fatto che l'esagerazione razionalistica finì col degenerare in logorante pedanteria, in soffocazione di ogni fresca vena creativa.

La seconda metà del secolo, e l'ultimo trentennio in particolare, videro accentuarsi sul terreno letterario i sintomi di insofferenza a quello che, alla luce di nuove condizioni psicologiche, appariva un clima opprimente di fredde e sterili artificiosità. Fermenti nuovi e nuove situazioni sociali stavano cambiando i gusti, il modo di pensare, i costumi, le esigenze culturali, la sensibilità che, poco alla volta, trovarono un ideale punto di convergenza nella temperie preromantica.

Sorto come reazione al rigore raziocinante del secolo, il Preromanticismo si manifestò sopratutto come movimento ribelle la cui connotazione precipua è quella dell'irrazionale.

Svincolata dai ceppi di una meccanica inesorabile, la fantasia creativa ebbe modo di spaziare nei campi suggestivi e sterminati dell'immaginazione con un moto liberatorio a più direzioni.

La natura si ripropose alla contemplazione poetica con le sue selvagge bellezze quale preziosa fonte di ispirazione artistica; la natura del paesaggio inglese ma anche quella di approdi lontani, con la carica violenta di colore dei suoi maliosi panorami, che rivelò ai preromantici il senso del pittoresco e il gusto esotico, già vive componenti del mondo letterario britannico (Shakespeare, Dryden, Defoe) ma che, dopo la versione di "Le Mille e una Notte" e la migliore conoscenza degli ambienti mediterranei e in special modo dell'Italia centro-meridionale, si organizzò nel ricco filone della letteratura esotista, una corrente oltremodo vitale che non perse nulla della sua spinta originaria per tutto l'Ottocento.

Accanto al gran tema della natura, elemento fondamentale del risveglio emozionale, preromantico, sta il ritorno all'antico: la potenza inspirativa del passato, contenuta nelle regole fisse dell'imitazione classicista, eruppe, con i preromantici, nell'evocazione fantastica, e non scevra di echi nostalgici di epoche lontane, di gesta eroiche, di testimonianze sepolte dalla polvere dei secoli. Tale l'entusiasmo della riscoperta che, proprio in nome e in onore della libera immaginazione, il poeta giunse a mistificare, come nel celebre esempio dei Canti di Ossian, in parte inventati dal MacPherson sulla scorta di testi gaelici liberamente tradotti. (https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2017/06/i-canti-di-ossian-di-james-macpherson.html)(https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2017/08/melchiorre-cesarotti-e-le-traduzioni.html)

Il loro carattere di poesia istintiva, gli echi ancestrali del loro primitivismo, la pura forza istintiva, gli echi ancestrali del loro primitivismo, la pura forza dei leggendari guerrieri cantata dai bardi scozzesi e irlandesi, esercitarono una formidabile attrattiva sui preromantici. I quali, aperti a ogni esperienza capace di produrre violente emozioni e nuovi orientamenti creativi trovarono congeniale alla loro sensibilità l'antico bagaglio della tradizione gotica che rappresentò il richiamo alle origini continentali.

Vedi anche: https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2017/12/introduzione-al-romanticismo-e-alle-sue.html https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2017/08/introduzione-al-romanticismo-inglese-in.html https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2017/08/la-notte-preromantica-in-giuseppe.html https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2017/07/invito-alla-lettura-di-alfonso-varano.html https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2017/07/introduzione-al-preromanticismo-e-al.html